lunedì 31 ottobre 2011

PAESAGGI SONORI 2011 - Cronaca Per Frammenti Non Cronologicamente Ordinati


Informazioni
Data: 16-18/09/2011
Luogo: Cardano al Campo, Varese
Autore: 7.5-M

Paesaggi Sonori 2011, Cardano al Campo, Varese. Festival organizzato da due associazioni culturali del varesotto, 26per1 e Frohike. Tre giorni, 16, 17 e 18 settembre, abbastanza eterogenei, tante iniziative all'interno del campo d'azione del festival.
La mia presenza è triplice, perciò la mia visione dell'evento non può che essere altalenante e poco equilibrata. Poco chiara. E questo forse è un bene.
Dicevo, sono stato lì tre volte contemporaneamente: come spettatore, come etichetta, come musicista. Ho ricoperto tutti questi ruoli, senza distinzione. Non credo sia economico per trarre un bilancio finale, ma poco m'importa.
Siamo arrivati sabato, secondo giorno del festival, perciò non parlerò del primo giorno, il quale, mi riferiscono, è stato un gran successo, causa splendido tempo estivo. Io, Elisa ed Alessandro, dopo una lungo viaggio in automobile, circa quattro ore, grazie a fatidiche code sulle autostrade, approdiamo al parco nel quale si svolgerà tutto. Siamo accolti da un pioggia di nocciole che cadono dagli alberi, mossi da un vento abbastanza sostenuto. Nessuna previsione luminosa in vista.

Siamo stati invitati a Paesaggi Sonori, all'ultimo momento, per suonare, in quanto Frohike ha prodotto un nostro lavoro e per promuoverne l'uscita ha proposto un live di presentazione. Abbiamo accettato, abbiamo caricato e riempito il nostro piccolo veicolo con tutta l'attrezzatura necessaria. Arrivati abbiamo scaricato tutto, ed ha cominciato a piovere. I piani degli organizzatori sono saltati ed è stato necessario arrangiarsi di necessità, rifugiando ogni cosa sotto una tettoia attigua alla cucina, spaziosa, ma non quanto il parco intorno, per poter proseguire anche sotto il diluvio. Ovviamente questo ha fatto calare drasticamente le presenze ma tutto il programma viene comunque salvato in extremis. Tranne noi. Infatti, causa problemi logistici, siamo costretti a spostare il concerto al giorno dopo. Nessun problema, in fondo siamo abbastanza versatili da non preoccuparci, avendo già impostato il nostro lavoro sull'improvvisazione completa, non solo musicale. Gli eventi ci seguono senza che noi chiediamo loro di farlo.
Mi occupo perciò del banchetto con le uscite della mia etichetta, nell'area distro, un tavolo addossato ai teli che chiudono fuori il maltempo dal chiosco. Mi piove sulla schiena, perché c'è uno spiraglio tra i teli dove sono seduto io. C'è poca gente, non molti si fermano ad osservare. È una delusione per me, forse un po' puerile, ma giusta e impossibile da rifiutare. È naturale, c'è poco da fare, quindi mi annoio e presto decido di assumere il semplice ruolo di spettatore.
Tra le molte iniziative nel festival, dedicato all'autoproduzione ed alla musica indipendente, c'è un'intervista ad uno scrittore (?), in occasione dell'uscita del suo libro ("Milano Horror", il titolo, per onor di cronaca e per assumermi l'onere di farvelo conoscere per evitarlo). Decisamente imbarazzante, non aggiungo altro. Passiamo alla parte musicale, con curiosità, non conoscendo nessun gruppo in programma.
Osservo i gruppi suonare, i primi, i Downhead, non mi convincono con il loro metal abbastanza stanco. Problemi tecnici a parte, è esplosa la cassa del basso, dolori economici a non finire per il service, la performance si snoda tra momenti melodici ed heavy e momenti più thrash oriented, tutto molto piatto ed omogeneo. Non sono stato catturato dal loro lavoro sonoro.
Il secondo gruppo sono gli Orbe, post-rock di matrice hardcore, tecnicamente dotati, attenti e di qualità, ma anche qui l'omogeneità appiattisce un po' tutto (non per motivi tecnici), e sembra di sentire il gruppo precedente, con le dovute differenze, e poi addirittura le band successive, in un'altra sfumatura. In crescendo comunque, il lavoro degli Orbe, più interessante, ma prevedibile. Fin qui la serata non mi ha affascinato molto. L'ambiente comincia a muoversi, ma tutto è molto umido, statico, l'interesse cala inesorabilmente.
Il terzo gruppo è in realtà una donna sola, sotto lo pseudonimo di Bemydelay: suona la chitarra, canta brani che definirei blues-pop, usa molti loop per riempire e saturare l'assenza di qualcun altro sul palco. I brani sono abbastanza personali e sentiti, ma la loro forma è fissa, non c'è vera evoluzione, manca il confronto con l'altro, che non c'è. Passa una mezz'ora (o tre quarti d'ora, non so quantificare) interminabile. Se all'inizio c'è vivo interesse, dopo pochi minuti tutto svapora. Peccato, perché cominciava a delinearsi qualcosa che poteva catturarmi, ma non è stato in grado di farlo.
Il gruppo successivo, dopo aver impacchettato definitivamente i dischi sul banchetto distro ed aver lasciato solo qualche volantino per qualche curioso, sono i Last Minute To Jafnna. La miscela di questo trio è un black metal con fortissime tinte post rock. Il suono è compatto e massiccio, la prestazione è di qualità, ma mi sembra di trovare gli stessi Orbe, in versione più succinta, con meno strumentazione, questa volta coadiuvati da una voce in growl. Ormai dispero, passo di continuo alla cucina ad ordinare da mangiare per riempire il tempo. Fin qui non ho accennato che ero pure in tensione in quanto, dopo l'inizio della pioggia, gli organizzatori c'avevano proposto di suonare a fine serata, dopo l'ultimo gruppo. Perciò il cibo nello stomaco doveva farsi spazio a fatica, tra qualche contrazione d'adrenalina.
Finita quest'esibizione si giunge sul termine della serata. Tiro un sospiro di sollievo, sono bagnato, l'aria è umida, sono vestito poco, tira vento, anche se ha smesso di piovere, gocciola solo un po'.
L'ultimo gruppo, che poi era quello che tutti aspettavano (ne è una prova tangibile la massiccia presenza di pubblico di fronte al palco, presenza prima quasi assente) sono gli Zeus!. Il duo, batteria e basso, propone un lavoro ritmico spaventoso, tecnicamente mostruoso, ironico e violento. Grind all'osso, grind fino al midollo. Il suono non è di due strumenti, ma di duecentoventi. Ritmi spezzati, una totale ironia, un'intenzione dissacratoria. Finalmente un'ancora di salvezza, e che ancora. Mi godo la performance. I due sudano come bestie, tanto che il bassista, già in infradito, si toglie la maglia fine e rimane a petto nudo, amplificando il senso di sudore, di umido, nell'aria. Questa volta però è un umido caldo, non freddo, come quello di tutta la giornata. Il pubblico s'accorge di questa differenza e reagisce in modo attivo.
Qui si conclude la serata. Ci viene proposto di aprire la giornata successiva. Sono stanco, infreddolito, bagnato.
Siamo ospitati, per la notte, da uno degli organizzatori, membro di 26per1. Gentilissimo, è stato davvero un piacere conoscerlo. Ho passato una notte serena dormendo su un materasso a terra nel mezzo di uno splendido salotto, con balcone e vetrate, libri sui muri, bassi mobili. Ringrazio ancora adesso quel nostro benefattore. Il sonno in quel luogo così accogliente, ve lo posso assicurare, mi ha ristorato da tutte le stanchezze della giornata trascorsa.
Si riparte domenica a mezzogiorno (eravamo veramente stanchi), con la ricerca di un posto dove mangiare. Abbiamo girato per un'oretta buona, passando per ristoranti chiusi per ferie, per malattia, per giorno obbligato di chiusura, fino ad approdare ad un kebab, dove abbiamo optato per una pizza. Torniamo sul luogo del festival, oggi tocca a noi aprire la serata musicale, verso le 8. Abbandono completamente l'idea del banchetto distro dopo il fallimento della sera prima, decido di occuparmi d'una cosa e di farla bene. Durante il pomeriggio ci sono due reading ed una performance. La prima lettura parte da un libro sugli eventi di Genova, 2001: la creazione di quest'opera è stata promossa dall'associazione 26per1, che ha raccolto, dieci anni dopo, le testimonianze di chi ha vissuto, o non ha vissuto, gli scontri durante il G8 famigerato. Il reading non mi piace molto, è un po' retorico, ma in fondo non mi tocca gran che. La seconda lettura è tratta da un libro di un giovane autore. L'attrice è essenziale, l'aria è leggera, mi diverte, il testo è ironico ed intelligente, la musica poi è favolosa: lo stesso autore è uno dei musicisti e suona il clarinetto, in coppia con un contrabbassista. I brani jazz suonati durante la lettura s'adeguano perfettamente, si sente che chi scrive, scrive come suona. Infine la performance è una pittura ex tempore d'un quadro da parte d'un artista-vignettista, che per tutta la giornata lavorerà su questo dipinto. Anche qui retorica, forse erano più carini i fumetti, dandoci un'occhiata.
Ceniamo prima del concerto, abbiamo fame, sempre. Ci chiamano per il soundcheck, ci prepariamo, prepariamo il resto. Qui sono costretto a spostare la vostra attenzione, a posticipare, spezzarvi il ritmo.
Dopo la nostra esibizione, decidiamo di non fare troppo tardi, considerando che c'aspettano altre tre ore e mezza di autostrada la notte stessa. Mangiamo ancora un po'. Facciamo in tempo a sentire due altri gruppi: il primo sono i Soviet Malpensa, gruppo di ragazzi molto giovani che propongono un rock con testi in italiano. Molto giovanili, molto rockettari, sembrano quasi liceali.
Purtroppo gli Hardcore Tamburo hanno, per problemi tecnici (causa pioggia), declinato. Peccato, la proposta era veramente interessante e fuori contesto, e questo mi intrigava molto. Ah, dimenticavo, pioveva pure domenica, da quando ci siamo alzati a quando ci siamo diretti verso casa.
Il secondo gruppo sono i Bob Corn, duo cantautoriale, di cui facciamo in tempo ad ascoltare le prime note, ma non oltre. Cerchiamo tutti quelli che c'hanno accolto e salutiamo riconoscenti. Carichiamo il nostro materiale e ripartiamo.

Riprendo il ritmo spezzato. Parlo ora della nostra performance. Descrivervi il momento esecutivo dal mio punto di vista è didascalico. Invece ho deciso di assumere un ruolo fuori di me per parlare di quel momento e di me, di noi. Qualche giorno dopo il concerto, mi sono reso conto che era stato girato un video del live. Ho richiesto perciò il materiale agli organizzatori. Mi è giunto qualche giorno dopo. L'esibizione dei Cenere Muto era assolutamente fuori contesto. Innanzitutto nessuno s'aspettava nulla da questo gruppo (che non era nemmeno nominato nel bill, ma compreso sotto un'enigmatica etichetta: "anteprime e presentazioni"), nessuno, tantomeno gli organizzatori, sapevano cosa aspettarsi. Il brano proposto dai Cenere Muto è un singolo pezzo da quindici minuti, completamente improvvisato e basato su tre fasi: la prima è una lunga introduzione noise, costruita attraverso una radio e degli effetti. Dal video non è facilissimo comprendere il suono, date le frequenze estreme, anche per l'orecchio umano, non solo per il microfono d'una telecamera. Ho raccolto voci, subito dopo il live, che descrivevano un po' sconcertate il volume avvolgente e a tratti fastidioso, che non traspare dalle registrazioni. La seconda parte del brano è basata su un giro blues di chitarra elettrica pulita, accompagnata da un sax contralto microfonato e filtrato con pedali effetto. L'ultima parte consiste nella scomparsa della chitarra e in un lungo assolo di sax, trasformato dagli altri due componenti del gruppo al mixer ed agli effetti. Tutto molto fluido, teso, nervoso. Inaspettato. Altre voci raccolte in loco parlano di contesto non adatto, i tecnici audio hanno lamentato l'impossibilità d'agire sulle frequenze più ardite, perché il gruppo gestiva tutto il suono dal suo mixer sul palco. Infine qualcuno s'è complimentato.

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