lunedì 28 novembre 2011

AS AUTUMN CALLS - An Autumn Departure


Informazioni
Gruppo: As Autumn Calls
Titolo: An Autumn Departure
Anno: 2011
Provenienza: Canada
Etichetta: Naturmacht Productions
Contatti: myspace.com/asautumncalls
Autore: Mourning

Tracklist
1. Initium (Intro)
2. Closer To Death
3. The Shadows Follow
4. The Demons Therein
5. Wither Away
6. In The Emptiness
7. Without You
8. Unearth My Sorrow
9. Murder (Katatonia cover)
10. An Autumn Departure (Outro)

DURATA: 58:10

Il melodic death/doom è da sempre un genere che mi ha intrigato particolarmente, ha dentro di sè atmosfere armoniosamente melancoliche, la profondità del "destino" più roccioso e la capacità di far annegare l'ascoltatore all'interno di un vorticoso mulinello fatto di suoni alle volte evocanti il passaggio di confine che conduce alla morte, i canadesi As Autumn Calls è in questo settore musicale che si vanno a inserire.
Due le produzioni sinora all'attivo, un ep rilasciato nel 2009 intitolato "Emontionless" e l'album di debutto "As Autumn Departure" dalla doppia gestazione, è stato infatti dapprima prodotto in formato tape a numero limitato per la The Northern Cold Productions e odiernamente ha avuto modo di venir fuori anche in cd tramite la tedesca Naturmacht Productions.
Lento, decadente, agrodolce è il sound che questi musicisti nota dopo nota tessono come una trama alternando agglomerati di grigio emanati da un cantato "ringhiante" (in alcuni casi sostituito da un pulito accennato e a tratti sospirato) e dalle movenze pesanti death oriented, partiture acustiche capaci di fornire un minimo di lucentezza e cadenti prese di posizioni allentate e adornate dalle melodie che si avvicinano ad act quali i Katatonia.
Momenti riconducibili al più classico incedere death doom come "Unearth My Sorrow" convivono con la vena lievemente progressiva di "Wither Away", brano nel quale si nota una costruzione del riffing più complessa, raffinata e un operato dietro le pelli più ampio e sviluppato anche nell'utilizzo dei cimbali.
Se quelle menzionate sono le canzoni probabilmente meglio congeniate e le due facce opposte di un album come "An Autumn Departure", c'è da dire che le altre tracce per quanto gregarie offrono comunque una prestazione complessivamente piacevole e l'incrociare più volte le soffici entrate dell'acustica ad affievolire la pressione e ingrossare quel sentore struggente che si trascinano dietro per quanto rischioso si è rivelata una buona soluzione.
Sarà quindi piacevole ascoltare una "Closer To Death" quanto una "In The Emptiness" e così via tenendo conto che "Intro" e titletrack, inserita con il ruolo di "Outro", si assestano in maniera coerente nello scorrere emotivo del platter, la loro similarità da inizio e giusta fine a un platter onorevole.
Capitolo cover, quando si tirano in ballo band come i Katatonia si rischia sempre di aprire il cielo a metà, peggio ancora se si prende sott'esame un pezzo come "Murder", uno dei più bei classici dell'epoca primorde del combo svedese contenuto in quel gran disco che è "Brave Murder Day", gli As Autumn Calls non eguagliano l'originale ma la riproposizione del brano è decisamente ben fatta sia dal punto di vista strumentale che per quanto riguarda l'impatto atmosferico, prova superata.
La strada degli As Autumn Calls sembra essere in discesa, le basi fornite da questa prima opera sono solide, non brillano per personalità ma indicano chiaramente che sanno dove e come mettere le mani e dato che si parla già di un secondo lavoro in arrivo, il cui probabile titolo dovrebbe essere "Cold, Black & Everlasting" in uscita nel 2012 sempre sotto Naturmacht, sembra proprio che non si dovrà attendere poi così tanto per tastare ancora una volta la validità del progetto.

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DAZHBOG - Ectasy Of Wintry Landscape

Informazioni
Gruppo: Dahzbog
Titolo: Ectasy Of Wintry Landscape
Anno: 2011
Provenienza: Messico
Etichetta: Naturmacht Productions
Contatti: myspace.com/dazhbogproject
Autore: Mourning

Tracklist
1. Gales Of Her Nightmares
2. Skadi's Rebirth
3. Voice Of Blizzard
4. Leaves Over Our Wings
5. Amethyst Blossom
6. Vision Of Woe
7. Evoking A Wintry Butterfly
8. Beholding The Azure Sky
9. Sun Wheel
10. Veil Of A Frozen Star

DURATA: 35:44

Il monicker Dazhbog mi era totalmente sconosciuto, quando ho ricevuto il lavoro dalla Naturmacht Productions, e limitandomi a un primo approccio grafico, mi attendevo un album pagan/folk o comunque qualcosa che fosse legato a tali atmosfere e soprattutto pensavo che l'artista potesse essere nordeuropeo o proveniente da zone fredde come il Nord America, in entrambi i casi ero totalmente fuori rotta.
A) Dazhbog è messicano come i Grim Sköll, B) la musica è ambient, sì ma è il solo piano in pieno stile neoclassico, C) arrichito dalle piacevoli incursioni di violino in "Vision Of Woe" e "Evoking A Wintry Butterfly" eseguite dalla guest Africa Santiago, a condurre i giochi dal primo vagito sino all'ultimo sbatter d'ali.
È una produzione lontanissima emotivamente dal gusto "metallico" e atmosferico delle produzioni "only instrumental" a cui gli artisti ambient vicini al mondo Metal ci hanno abituato, è cristallina, vibrante, a sprazzi pimpante tanto da apportare alla sensazioni classicamente invernali, come quel gelo che colpisce inaspettato ricoprendo il territorio e quei suoni che riportano alla mente il naturale letargo che attanaglia flora e fauna che precede il rifiorire primaverile, un calore e una vitalità anomala pari al battere di un cuore che si rifiuta di sprofondare all'interno della bara costituita dai ghiacci, una temporanea tomba da cui si fugge senza guardare indietro.
Eppure "Ectasy Of Wintry Landscape" evoca anche immagini meno "combattute" come il semplice svolgersi di una camminata nel verde che si tinge di bianco col soffice discendere della neve, è un dipinto che raffigura un paesaggio capace di adeguarsi al cambiamento climatico mutando la cromatica che lo caratterizza, è l'ingabbiare la goliardia estiva in una gabbia amaro-dolce da cui fuoriescono solo schegge impazzite simili a raggi solari, è entusiasmante il lavoro di Dazhbog.
Un'opera d'arte che verrà sicuramente apprezzata dagli amanti della musica classica e da chi ha una indiscutibile e "reale" apertura mentale, coloro che riescono quindi a far convivere la propria passione per il suono metal con esplorazioni extraterritoriali intense e degne di nota com'è questo "Ectasy Of Wintry Landscape".
Augurandomi che qualcuno della classe "duri e puri" per una volta molli gli ormeggi della stupidità che restringono il campo a una compartizione stagna dell'arte avventurandosi in un ascolto "differente" agli abituali magari rimanendone affascinato, non posso che concludere questo testo con il consigliarvene l'acquisto, lo merita.

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SYMPHONIAN - Incarnation Of Reality


Informazioni
Gruppo: Symphonian
Titolo: Incarnation Of Reality
Anno: 2011
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Endless Winter
Contatti: myspace.com/symphonianband
Autore: Mourning

Tracklist
1. Forbidden (Der Apfel Aus Gold)
2. Betrayal
3. Last Words
4. Path Of A Soul
5. Silver Streams
6. Withered
7. Depressed (Lithiated)

DURATA: 48:42

In un periodo storico nel quale una fascia d'ascoltatori gotici attende con ansia l'ultima uscita dei Lacuna Coil (???), nel quale Morten Veland fra Mortemia e Sirenia ha deciso di stracciarci le palle e il power/symphonic goth degli Epica con la Simons sempre più prorompente continua a far arrapare quattordicenni in calore, c'è ancora chi si ricorda cos'era una volta questo genere.
Sono una piacevole sorpresa i Symphonian, la band ucraina è da poco entrata a far parte del roster della label russa Endless Winter che ha rilasciato il primo album dei ragazzi intitolato "Incarnation Of Reality".
Dopo un paio di ascolti mi son reso conto che il disco e lo stile sembravano indicarmi una direzione precisa, quella che porta agli svedesi Draconian, pensiero che si è rafforzato con i successivi passaggi nello stereo e la quantità di soluzioni che li ricordano, dal modo in cui si interscambiano la voce in clean della dolce e suadente Lana Sokolova e quella in growl robusto e greve di Slava Kuz, al reparto sinfonico melancolico decadente che incide notevolmente sul comparto atmosferico del chitarrista tastierista Dmitry Merva. Incrociando "Betrayal" vi accorgerete di come la proposta sia tutt'altro che moscia o powereggiante, echi dei Paradise Lost e dei My Dying Bride percorrono il disco affiancandosi alla influenza madre e più odierna degli antecedentemente citati Draconian, la melodia la fa da padrone ma il melenso è lontano, molto lontano.
Ovviamente è difficile non percepire in più di un'occasione una sensazione di deja-vù forte, eppure i Symphonian riescono a imprimere un passo personale ai pezzi e con un'esecuzione pulita e a tratti elegante, una produzione che svolge ampiamente il proprio dovere offrendo una più che discreta resa sonora, riuscirete sicuramente ad apprezzare brani quali l'opener "Forbidden (Der Apfel Aus Gold)", "Last Words", "Path Of Soul" e "Depressed (Lithiated)" (bello l'organo che si staglia solenne al suo interno) trovandoli anche più freschi e piacevoli al cospetto della fanghiglia che gira sotto falsa nomea inserita in questo stile, certo è che i riffoni groove che fanno capolino in "Whitered" sono davvero inaspettati, non che ci stiano neanche male a dire il vero, però...
I Symphonian con "Incarnation Of Reality" immettono un bel po' d'ossigeno in una scena che alle volte tende a boccheggiare e andrebbe in molti casi nominata fra quelle "modaiole" e sin troppo "commercialotte" nell'intento.
Se è questo il gothic metal che amate, quello che in parte ha saldamente ancorate in sè le radici del genere, la formazione ucraina potrebbe risultare di vostro interesse, ancor più se aveste amato le prove degli artisti tirati in ballo nel testo, non siamo su quei livelli ma chissà, magari un giorno anche loro potrebbero tirar fuori un album stratosferico? La speranza, si sa, è l'ultima a morire.

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EXCOMMUNICATED - Skeleton Key


Informazioni
Gruppo: Excommunicated
Titolo: Skeleton Key
Anno: 2011
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: UW Records
Contatti: facebook.com/pages/Excommunicated/124129727678299
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Abandonment Of Hope
2. The Incorruptibles
3. Cry To Heaven
4. Minutes Of The Corpse Trials
5. The Vatican Orgies
6. Christ's Sword
7. When Death Claims Its Most Righteous Dead
8. The Birth Of Tragedy
9. Keys To The Kingdom Of God
10. The Sum Of All Life's Pain

DURATA: 46:06

C'è forse bisogno di sputtanare ancora la Chiesa Cattolica per il suo passato? Noi italiani dovremmo averne talmente le tasche piene (e non solo del passato) dato che l'argomento ce lo troviamo "forzatamente" collocato all'interno di ogni battito di ciglio che fa muovere la nostra cazzo di Penisola.
Gli Excommunicated, band statunitense di recente formazione (2010), debutta con "Skeleton Key" che come nella miglior tradizione dei concept album ha necessariamente bisogno del supporto fisico, del booklet contenente i testi e le motivazioni che spingono una band a mettere insieme un puzzle storico che riporta in "auge" il fango che da millenni il Vaticano ha celato.
Ormai non è più una bomba ad orologeria quella esplosa loro addosso bensì la cruda realtà che racconta di misfatti, atti oltraggiosi contro l'umanità (dal genocidio di massa, alla pedofilia, dall'incesto alla stregoneria praticata o non divenuta colpa assoluta da pagare) a partire da quella Crociate di Liberazione che fu la più grossa follia e la mossa più inutile messa in atto dalla Chiesa costata migliaia di vite giovani e non.
Togliendo il cd dalla custodia che fa trasparire l'interno del retro-cover, troviamo una lista ben dettagliata di Papi e delle loro "azioni" nefande commesse nel periodo nel quale ricoprirono tale "schifosamente" importante carica, se già questa lettura aizza alla grande aumentando il ribrezzo che provo per questa sorta di società massonica (parlo ovviamente di quella vaticana, ci sarà qualcuno che si salva, saranno sicuramente pochissimi dato che dove c'è potere nel 99,9% dei casi ci sono conseguentemente anche dolore, sofferenza e morte).
Questa sensazione viene rafforzata dai brani che il quartetto, composto da Jason McIntyre ex Suture e Despondency chitarra e basso), Jonathan Joubert dei Despondency (chitarra e basso), Chad Kelly (voce) dei Satanist ed ex Catholicon e David Kinkade (batteria) ex di act quali Malevolent Creation, Divine Empire, Council Of The Fall e Insatanity, imposta dando loro una connotazione death con margini black che ricorda in più circostanze le atmosfere e l'appeal di Morbid Angel e Immolation, che mostra una certa predisposizione verso la musica di Phil Fasciana e dei Baphomet (statunitensi) abbracciando concettualmente la visione oltranzista dei Behemoth.
Le premesse sono in pratica delle migliori, come direbbe Trey Azagthoth (non il clone che ha suonato e composto quella merda di "Illud Divinum Insanus") "Extreme Music For Extreme People".
Eh già, perché "Skeleton Key" non brillerà di certo per innovazione, è però una prestazione di buonissimo livello priva di cali veri e propri, il disco gira davvero bene e tralasciando l'intro strumentale di preparazione, "The Abandonment Of Hope", abbiamo nove pezzi di cui poter godere con dei guest dai nomi altisonanti ad impreziosirli.
In "Christ's Sword" possiamo incrociare la magia solistica di Andy La Rocque, in "The Birth Of Tragedy" la possente voce di Vincent Crowley carismatico leader degli storici e da poco riformatisi Acheron mentre il compagno di Jason nei Suture, il cantante Jayson Ramsay, mette a disposizione la sua ugola in "When Death Claims Its Most Righteous Dead", tre partecipazioni che allineandosi a ciò che di buono c'è all'interno di "Skeleton Key" e a una produzione che non crea problemi all'ascolto ne fanno un disco di quelli che piace.
Gli amanti del death metal old school, atmosferico a tinte black fate un po' voi, potranno accoglierlo a braccia aperte, è buona la prima per gli Excommunicated e fossero tutte così!

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SEDNA - O


Informazioni
Gruppo: Sedna
Titolo: O
Provenienza: Italia
Anno: 2011
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: http://sednablack.bandcamp.com/album/o
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Oblio
2. Spiral
3. Taedium
4. Rain On The Sun

DURATA: 20:18

I Sedna sono un gruppo romagnolo, formato nel 2009 e arrivato quest'anno alla pubblicazione del primo demo autoprodotto intitolato "O".
Tra le varie informazioni di rito nell'artwork spicca questa frase: "We are falling underground in the eternal abyss of reborn".
Perchè metto in evidenza queste parole? Perchè la proposta musicale sembra effettivamente coerente con la frase summenzionata, ciò che i Sedna vogliono farci vivere potrebbe davvero essere una caduta senza fine nell'abisso.
Il disco prende il via con "Oblio", composta principalmente da un'angosciante apertura arpeggiata (la quale poi si trasformerà in una breve quanto violentissima sfuriata) che mi ha portato alla mente in qualche modo, soprattutto per l'atmosfera che genera, quell'inquietante e pesantissimo concentrato di pece che prende il nome di "Monotheist", canto del cigno degli immortali Celtic Frost.
"Spiral" e "Taedium" si presentano invece come una mistura compatta e monolitica di Black Metal battagliero e opprimenti influssi Doom; qui, seppur con le dovute cautele, in qualche misura mi è sembrato di poter udire qualche rimando agli Altar Of Plagues di "White Tomb".
Il punto massimo del disco l'ho però individuato nella conclusiva "Rain On The Sun", una composizione davvero devastante a causa della spietata e marziale ferocia con cui viene eseguita, intervallata da un uso di melodie che, invece di far crollare miseramente la struttura edificata (come talvolta accade), la rinforzano ulteriormente grazie al carico emotivo che portano in grembo e grazie al loro ottimo inserimento.
Tutto ciò avviene in circa venti minuti di musica, venti minuti in cui gli strumentisti ci attanagliano il cervello con i loro assalti (con ogni tipo di arma) e in cui le vocals di Alex ci vomitano in faccia senza pietà il messaggio di cui si fanno portatrici.
Peraltro, contando che il disco è un autoprodotto, la registrazione è molto buona e si adatta davvero benissimo alla proposta musicale.
Insomma, un ottimo inizio per i Sedna che, se continueranno su questa strada, potranno senza dubbio portare buoni frutti nella scena nazionale.
Personalmente, se fossi in voi, non mi farei ripetere due volte la mia esortazione a tenere seriamente d'occhio questi ragazzi: ne vale la pena!

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GUDARS SKYMNING - Morka Vatten

Informazioni
Gruppo: Gudars Skymning
Titolo: Morka Vatten
Anno: 2011
Provenienza: Svezia
Etichetta: BloodRock Records
Contatti: myspace.com/gudarsskymning
Autore: Mourning

Tracklist
1. Jag Är En Trollkarl
2. Södersläntsblues
3. Imanävars Käftar
4. Källar Tony
5. Pengar
6. Aldrig Har Jag Vetat
7. Hyfs Och Fason
8. I Älvens svarta djup
9. Fri
10. Never In My life

DURATA: 44:41

E se la giocano alla grande questi svedesi, i Gudars Skymning sono una di quelle band che ti fanno ricordare quanto siano fondamentali gli anni Settanta per la musica intera.
"Morka Vatten" è un debutto che più derivativo non si può, non prendete però tale termine come negativo, qui c'è proprio l'essenza del periodo seventies riversata a più non posso nei brani: Hendrix, Deep Purple, Black Sabbath, la scena prog (accenni di Yes) e i Mountain omaggiati sul finire con una stupenda riproposizione della grandiosa "Never In My Life" contenuta in quel gioiellino intitolato "Climbing" (1970).
Un tributo in tutto e per tutto, questo è il contenuto dei pezzi composti ed eseguiti come se il tempo si fosse fermato a un trentennio fa, stupendo il modo in cui il blues prende la scena in "Södersläntsblues" e "Fri", adrenalina funky scorre in "Källar Tony", il progressive che avanza in "Aldrig Har Jag Vetat" "citando" "Starship Troopers" dei già nominati Yes contenunta in "The Yes Album" (1971) e non v'è dubbio che Jimi abbia fornito il tessuto su cui ricamare "Jag Är En Trollkarl". Si può rimanere impassibili dinanzi a tanto ben di Dio?
C'è qualche sprazzo di heavy primordiale, probabilmente lievi influssi maideniani che non ledono assolutamente la struttura hard rock/blues del platter, s'incastrano alla perfezione.
In effetti non vi sono "pecche" che si possano definire tali in "Morka Vatten", i Gudars Skymning hanno dato vita a canzoni che suonano spettacolari e che forzatamente pagano dazio ai maestri del genere, si potrebbe obbiettare che siano privi di personalità, sì, in effetti si possono riscontrare tutte quelle evidenziate tranne la loro, è altrettanto vero che si differenziano un minimo dalle altre band mantenendo lo svedese come lingua usata per interpretare i brani, è poco? Beh, ci sono tanta passione, volontà e carica da stendere un rinoceronte in quest'album e personalmente questo mi basta.
Bello il digipak che racchiude il disco sul quale è raffigurato un dipinto di William Blake e il booklet contenente i testi e le foto delle formazione, professionale e di buon gusto.
Ennesimo centro per la BloodRock, ancora una volta il cuore degli amanti del periodo anni Settanta troverà pane per i propri denti, "Morka Vatten" punta dritto lì.

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SLIME IN THE CURRENT - Pissed On Resurrectine


Informazioni
Gruppo: Sline In The Current
Titolo: Pissed On Resurrectine
Anno: 2011
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: UW Records
Contatti: myspace.com/slimeinthecurrent
Autore: Mourning

Tracklist
1. Feast For The Coming Storm
2. Swarm
3. Creator Of Ruin
4. Laid To Rule Beneath
5. The Coal That Burns
6. Orders Of True Machination
7. Blastered Salvation
8. Word Is Dead
9. In The End, Torn By Dogs
10. Retained Hunger To Demoralize

DURATA: 53:42

Le informazioni in mio possesso sugli Slime In The Current sono pochissime, in pratica so solamente che "Pissed On Resurrectine" venne rilasciato nel 2009 in forma autoprodotta e che adesso è stato ristampato in digipak dalla label di Baton Rouge (Louisiana) UW Records.
Il trio composto da Null (voce), Stowt (chitarra e basso) e Ajax 7 (Drums) propone una miscela caustica e gelida con tratti ambientali che si fanno strada all'interno della minacciosa coltre grigia, un misto fra Hellhammer, Celtic Frost e la scuola norvegese, a voi lascio il compito d'indovinare a chi mi possa riferire.
E' come se un mattone mi arrivasse in testa, in più di un'occasione l'album si presenta come un macigno di gran portata: le scorribande del drumming alternante fasi sparate ad altre ritmicamente più lente e addensanti, il riffato macerante, cosparso d'odio e la voce a me particolarmente gradita per la maniera in cui libera le urla, sussurra e scende improvvisamente in growl oscurandosi caratterizzano le tracce interrotte nella loro dinamica assaltante da rallentamenti atmosferici e fraseggi devoti al groove.
La scaletta ci regala una serie di canzoni marcescenti, catastrofiche come se il mondo nucleare immaginato da tanti scrittori e fumettisti si fosse realizzato nelle loro note, scegliere quindi la migliore fra "Feast For The Coming Storm", "Swarm", "Laid To Rule Beneath", "Blastered Salvation" e "Retained Hunger To Demoralize" mi sembra stupido per il semplice fatto che seppur il platter soffra di una omogeneità di fondo, che potrebbe essere inizialmente una pecca, così per com'è impostata la tracklist ogni singolo brano gira in modo da prestare all'altro la propria spalla formando una ruota macinante dall'inizio alla fine.
Non che manchi qualche passaggio a vuoto, sono comunque di maggior numero e intensità i momenti in cui gli Slime In The Current affondano il coltello nella piaga facendola sanguinare vistosamente.
Cumuli di macerie e devastazione, è questo il paesaggio che potrete immaginare dopo aver ascoltato "Pissed On Resurrectine", un lavoro che piacerà a chi ama il black "nudo e crudo" ma date le sue brevi e ben incastonate aperture ambientali potrebbe condurre a sè l'interesse di chi non è forzatamente avvezzo a quel tipo di suono. Da seguire con attenzione.

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THREE MONKS - Neogothic Progressive Toccatas

Informazioni
Gruppo: Three Monks
Anno: 2011
Etichetta: Drycastle / Blackwidow
Provenienza: Italia
Contatti: myspace.com/the3monks
Autore: Mourning

Tracklist
1. Progressive Magdeburg
2. Toccata Neogotica #1
3. Neogothic Pedal Solo
4. Herr Jann
5. Deep Red (Profondo Rosso)
6. Profondo Gotico
7. Toccata Neogotica #7

DURATA: 50:07

Album decisamente particolare e d'altri tempi quello che i personaggi celatisi dietro il monicker Three Monks (e mai monicker fu così azzeccato) hanno rilasciato, "Neogothic Progressive Toccatas" è il gotico per eccellenza, ritualistico, magniloquente, è cultura musicale del passato che esalta lo strumento, a mio modo di vedere, più incline a ricreare atmosfere celebrative, l'organo a canne.
Organista e compositore della formazione, "Julius" (Paolo Lazzeri) si fa accompagnare in questa solenne proposta dal bassista "Bozosius" (Maurizio Bozzi) e dai batteristi "Placidus" (Roberto Bichi) e "Ursinus" (Claudio Cuseri) regalandoci una prova che sciorina eleganza e prepotenza, suono barocco e attimi dalle tinte horror in cinquanta minuti che fanno del mood progressivo degli anni Sessanta e Settanta una componente fondamentale per dinamicità ed espressività.
E' un disco non di semplice comprensione e assimilazione "Neogothic Progressive Toccatas", è un viaggio che ci porta alla riscoperta di momenti storici e siti in cui quello strumento divenne figura solenne.
L'opener "Progressive Magdeburg" rimembra la distruzione della Cattedrale di Magdeburgo durante i bombardamenti del 1943 da parte degli alleati adesso riscostruita e contenente nuovamente al proprio interno un organo, morte e vita collegate? Il rinascere dopo l'esser caduti.
Con "Toccata Neogotica #1" il gusto compositivo dell'ungherese Franz Liszt viene chiamato in causa, il pezzo è carico di virtuosismo e non è un caso che venga dedicato ancora una volta a uno strumento stavolta contenuto nella Cattedrale di Merseburg e che vide eseguite le prime opere sia del compositore citato che del suo allievo nonché figlio del celebre costruttore d'organi Adolf Reubke, il tedesco Julius Reubke.
Basterebbero già questi due brani per intrigare e "stendere" l'ascoltatore, un'accoppiata che con classe e buon gusto non lascia scampo all'orecchio seducendolo e conducendolo a sè, con "Neogothic Pedal Solo" fanno anche di più dividendo il pezzo in tre parti nelle quali avremo il piacere d'incrociare un coro di monaci e un assolo di basso che mette in luce le qualità di "Bozius" tornando in "Herr Jann" a decantare l'amore per lo strumento in questione con un'altra dedica appassionata stavolta indirizzata a quello costruito nel 1989 da George Hann e sito nella Basilica di Waldsassen.
Gli amanti della cinematografia di Dario Argento e dei mitici Goblin non possono prescindere dall'ascoltare dapprima una variante interpretata magistralmente di "Deep Red" "Profondo Rosso" e poi la rivisitazione in chiave gotica e decadente che le succede in "Profondo Gotico" a dir poco esaltanti.
Si è arrivati al termine, manca solo "Toccata Neogotica #7", brano che funge da tributo al compositore e organista austriaco Anton Bruckner, come già avvenuto negli altri episodi, il modo di riverire omaggio a colui che li ha ispirati è colmo di rispetto ma allo stesso tempo energico e imbrigliante.
E' un lavoro particolarmente austero "Neogothic Progressive Toccatas" e la sua forma così in un certo senso elitaria potrebbe comunque trovare riscontri sia da parte di chi segue la scena goth/doom, sia da coloro che appassionati di prog e di musica classica abbiano la buona volontà di superare l'ostacolo legato all'assenza della voce e della chitarra.
Ostico? Sicuramente. Ottimo? Decisamente e non poteva essere che la Black Widow a supportare un'uscita simile. Avete bisogno di altri dettagli per fiondarvi ad acquistarlo? Non credo.

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THE PROVIDENCE - Horror Music Made In Hell

Informazioni
Gruppo: The Providence
Titolo: Horror Music Made In Hell
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Audio Ferox
Contatti: myspace.com/horrorprovidence
Autore: Mourning

Tracklist
1. Coming You
2. Tarot For The People Train
3. Interlude For The Dead
4. Take A Look Through The Hills
5. Never Sleep Again
6. Tall Man
7. Everynight Comes The Blind
8. Slasher
9. We Eat You At Midnight
10. Cursed
11. Death Bag
12. Don't Go To Town
13. Rosemary

DURATA: 48:18

È giunta l'ora anche per il progetto sardo The Providence di sfornare l'opera di debutto, il buono ma altrettanto "malefico" creatore Bloody Hansen ha racchiuso in "Horror Music Made In Hell" la recente storia del combo, sono infatti in esso compresi i brani dei due promo "The Fear Remain The Same" e del successivo "The Seven Gates Of Providence" recensito al tempo dal sottoscritto.
L'ossatura della musica ha quindi basi più che solide, è l'amore incondizionato per la filmografia horror, per il rock/prog e l'heavy dark del periodo ottantiano a fornire i riferimenti sonori sui quali si muovono i brani ed è fondamentale più che mai il fattore atmosferico: come si potrebbe intitolare un proprio album "Horror Music Made In Hell" se non portasse con sè una massiccia dose d'inquietudine, ansia, ossessività, angoscia e con esse quella gamma di emozioni/sensazioni che conducono allo smarrimento e sconforto che spalancano le porte in direzione dell'oblio?
È questa la forza delle tracce, immergere l'ascoltatore in un mondo a scompartimenti in cui ogni singola esecuzione innalza lo stato d'adrenalina scaturito dalla primordialità di alcuni dettagli, quell'emanare una costante aura scura pronta a far scattare in noi chissà quale reazione.
Sono quattro le canzoni che si aggiungono a quelle già note, "Coming You" e il trittico finale che vede una dietro l'altra "Death Bag", "Dont' Go To Town" e "Rosemary".
La prima, "Coming You", è colei che ci conduce all'interno del pianeta horror dei The Providence, è disturbata e similarmente riconducibile a certe soluzioni sonore usate da case produttrici di videogames, "Death Bag" nel suo trascinarsi quasi singhiozzante infarcito da vari samples (pianti, urla, frasi recitate) riporta alle mente le ambientazioni del periodo anni Sessanta e Settanta, più triste e angosciante che violenta, violenza che comunque non si fa attendere dato che "Don't Go To Town" utilizzando torbidamente quella psicologica realizza una ragnatela stringente, grazie al lavoro delle chitarre, all'assolo unico e inaspettato all'interno del platter e ai cambi di tempo che ne scandiscono l'andare e aumentano la carica diabolica.
Capitolo a parte merita la lunga e conclusiva "Rosemary", dieci minuti di musica che offre di tutto e di più, sembra una vera e propria fiera nella quale Bloody Hansen mette alla mercé dell'orecchio da nenie ad accenni demoniaci, da sei corde in elettrico ad aperture in acustico fra l'altro pronte a dar vita a un riffing che incastrandosi con i cambi di ritmo tende a formare una struttura complessa che fa delle emozioni messe in gioco il collante che tiene su la baracca, forse ha calcato un po' la mano in quest'ultimo episodio, un po' snellita nel minutaggio avrebbe probabilmente reso di più.
Bloody Hansen è ormai avviato, ha imboccato la strada a lui più consona, certo è che in alcuni casi la ripetitività di alcune soluzioni potrebbe divenire un'arma a doppio taglio così come gli auguro di trovare un batterista umano, un session magari che possa suonare le parti di batteria in modo da inspessire ulteriormente le basi già ben piantate di questo progetto.
Siete appassionati di cinema e prediligete l'horror? Amate le colonne sonore lugubri? "Horror Music Made In Hell" non può passarvi inosservato, seguite le vicissitudini di questa realtà nostrana, da parte mia ha il pieno supporto.

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FLOORSHOW - Son Of A Tape

Informazioni
Gruppo: Floorshow
Titolo: Son Of A Tape
Etichetta: Bloodrock Records
Provenienza: Italia
Contatti: myspace.com/floorshowmusic
Autore: Mourning

Tracklist
1. Playback
2. Meet The Monsters
3. The Agony Of A Ballet
4. No Contact
5. Total Recall
6. Fortress
7. Shestaya Chast Mira
8. Sometimes I Forget
9. Confidence
10. Paranoia Paradise

DURATA: 35:29

Devo esser sincero, non sono un'appassionato della scena dark-wave anni Ottanta o di quella che veniva definita l'era del post-punk, però formazioni come Bauhaus e i primissimi Christian Death quelli dell'accoppiata "Only Theatre Of Pain" e "Catastrophe Ballet" insieme ai Joy Division e il punk di gente come i Ramones, The Damned, The Strangled e l'horror punk dei Misfits sono stati ascolti che per un motivo o l'altro mi han fatto compagnia in più di un'occasione e quindi stato particolarmente gradito l'incontro con la realtà dei Floorshow che da molte di queste band e da una sottile vena glam seventies probabilmente derivante dal "Duca Bianco" David Bowie si è lasciata inspirare per realizzare "Son Of A Tape" album di debutto rilasciato sotto l'egida ala della genovese Blood Rock.
Trentacinque minuti tutt'altro che raffinati quelli che ci vengono spiattellati, tanta adrenalina, emozioni contrastate che sprigionano quell'alone nero e decadente caratteristico del periodo eighties si fanno strada in una tracklist colma di episodi che scuotono l'interesse partendo in quarta con la sfuriata punk di "Playback", accattivando con le melodie consumate dalla sofferenza inquietante di "Total Recall", mostrando la parte melanconica obliante che rendeva uniche le prestazioni dei Joy Division in "Fortress" e pescando dal proprio passato attingendo dal secondo ep omonimo da cui vengono estratti i brani "The Agony Of Ballet" e "No Contact" con quest'ultima che riporta alla mente le sonorità dei "veri" Christian Death.
E' volutamente anacronistico, retrò ma con gusto "Son Of A Tape", esalta il malessere di una generazione, quella ottantiana che continua ad avere fedeli proseliti e canzoni come "Meet The Monsters" e "Sometimes I Forget" attraversate da influssi carichi di alienazione mentale e continuo disagio rincarano la dose d'instabilità che dopo aver raggiunto l'apice dei propri effetti scema con le ultime note di "Paranoia Paradise" rivisitazione della canzone incisa originariamente da Wayne County & the Electric Chairs band americana che non vide mai pubblicati nella terra d'origine, i puritani U.S.A., i propri album, fu la piovosa Londra ad ospitare la formazione capitanata dal transessulae Wayne conosciuto più tardi come Jayne County.
I Floorshow e "Son Of A Tape" sono ciò che gli appassionati di death rock e post-punk cercano, quattro musicisti compositivamente ispirati e con una spiccata personalità e un lavoro che scorre genuino ed è perfetto oltre che da ascoltare, da ballare, non vi resta dunque che farlo vostro.

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DETRIMENTUM - Inhuman Disgrace


Informazioni
Gruppo: Detrimentum
Titolo: Inhuman Disgrace
Anno: 2011
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Deepsend Records
Contatti: myspace.com/detrimentum
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Crimson Legacy
2. Pestilence Shared With The Worms
3. Ascension
4. Effigies Of The Silent Kings
5. In The Shadow Of The Cross We Burn
6. The Journeyman's Lamen
7. Dominus Detrimentum
8. Mine Is The Glory (Wretched Release)

DURATA: 44:13

Gli inglesi Detrimentum tornano in pista con il secondo album "Inhuman Disgrace" e si nota come ci sia stata una svolta compositiva netta, si è passati dall'efferata brutalità del debutto "Embracing This Deformity" a un sound in alcuni fraseggi più cervellotico, malevolo e soprattutto marciante, in tal senso nomi come Morbid Angel, Bolt Thrower e Gorguts giungono in mio soccorso anche se la componente musicale odierna caratterizzata dall'uso "pulito" delle chitarre avvicina il trio a realtà quali i francesi Gorod.
Abbiamo a che fare con un disco di Death Metal che sprigiona più sensazioni, prendete a esempio "Pestilence Shared With The Worms" e incrocerete una scura e maligna presenza valorizzata dal drumming devastante di Steve Powell (batterista live degli Anaal Nathrakh), fatevi trascinare da "Ascension", un misto fra progressione sonora e caos, due anime che si fondono per concepire un brano violentemente maniacale seguito dalla mirabolante aggressione dai tratti melodici e dall'ossessiva solistica di "Effigies Of The Silent Kings".
Siamo giunti a metà tracklist e ci hanno già fornito prova che l'evoluzione ha portato i suoi frutti fornendo loro una dimensione più interessante di quella proposta in passato.
Le mazzate si susseguono una dietro l'altra, prima "In The Shadow Of The Silent Kings" poi "The Journeyman's Lamen", il riffing inanellato con mestiere e bravura dalle asce Paul Wilkinson e Jonathan Butlin, quest'ultimo feroce nello scagliarsi vocalmente sui pezzi, mantiene tonalità spesso cupe e segnate da strati di virulento odio, in più momenti sembra che venature blackish vengano impiantate a rafforzare tale presenza.
La decadenza abbracciata dalla fase iniziale di "Dominus Detrimentum" cela una traccia varia che fr'assalti al fulmicotone e aperture dense ed evocative scaglia il proprio iracondo essere riservando anche una sequenza di passaggi thrashati ben aggregati al contesto e con "Mine Is The Glory (Wretched Release)" i tre quarti d'ora di "Inhuman Disgrace" son volati letteralmente via.
Come definire i Detrimentum di adesso? Technical Death? Technical Death/Black? Onestamente non me ne frega davvero nulla, il risultato è ciò che conta e con questo secondo capitolo i britannici si sono conquistati un posto nel mio stereo per molto tempo.
Consigliato in primis a chi non ama esclusivamente il filone più classico e conservatore del genere, "Inhuman Disgrace" è un ibrido che comunque potrebbe riscuotere consensi anche fra i conservatori, non escludete quindi un ascolto simile a priori, siate disponibili all'on air.

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WOLVES IN THE THRONE ROOM + Wolvserpent (18/11/11 @ Milano)

Informazioni
Gruppo: Wolves In The Throne Room
Data: 18/11/11
Luogo: Leoncavallo, Milano
Autore: Bosj

Scaletta
1. Thuja Magus Imperium
2. Ahrimanic Trance
3. Cleansing
4. I Will Lay Down My Bones Among the Rocks and Roots
5. Prayer Of Transformation

È la seconda volta che mi trovo a dover parlare di un concerto dei Wolves In The Throne Room ed è la seconda volta che non so davvero che dire.
Partendo dal presupposto che un genere come quello presentato dalla band di Olympia, Washington, non è certamente di facile digestione né caratterizzato da grandi variazioni sul tema portante, anzi forse è proprio questo il maggior punto di forza della proposta del gruppo, è difficile analizzare quanto è stato fatto ieri sera al celebre Leoncavallo di Milano, nello "Spazio Foresta", un capannone adiacente all'area principale, dove, avremmo poi scoperto, frattanto si teneva una serata electro di grande richiamo (a spiegare l'abnorme quantitativo di gente orbitante attorno al locale, in particolar modo di belle ragazze, che nessuno si aspetterebbe mai ad un concerto black metal).
Ma andiamo con ordine. Partiamo dai Wolvserpent, act di supporto dell'Idaho formato da una batterista/violinista e un chitarrista che si occupa anche delle parti vocali. Il sound del two-piece potrebbe anche risultare particolare, indubbiamente per i primi momenti ha catturato l'attenzione dei presenti, ma l'interesse è presto scemato a causa della durata terrificantemente lunga dei pezzi e della pressoché assente varietà degli stessi. Venti minuti di riffing sempre uguale a se stesso, con qualche sparuta growlata, non sono sufficienti a donare spessore ad un'esibizione dal vivo, così come non lo è un quarto d'ora di sviolinata contornata unicamente da feedback di sottofondo. Probabilmente adatti a scaldare le serate d'inverno davanti al camino, seduti in poltrona a rimirare le stelle e il manto nevoso delle montagne, sicuramente non idonei ad esibirsi in un capannone autogestito in centro città.
Rapido cambio ed ecco che all'ora delle streghe arrivano gli headliner.
I fratelli Weaver, accompagnati dal o dai turnisti di turno (questa volta presente solo il barbuto Kody Keyworth alla seconda chitarra ed occasionale growl aggiuntivo, niente bassista sul palco in favore di basi registrate), sono rocciosi, forse troppo. Dell'ultimo "Celestial Lineage", rispetto ai lavori precedenti, soprattutto i primi due full, ho particolarmente notato l'ancor maggiore dilatazione e la minor preponderanza delle sei corde in qualità di protagoniste, a favore di un amalgama sonoro maggiore, più indefinito e fosco. Questo approccio si è manifestato anche in sede live, dove, complice anche la mancanza delle "aggiunte" da studio come tastiere, sovraincisioni e voci femminli, il risultato finale è un monolite nero di chitarre e batteria dove le une e l'altra spesso si confondono e le partiture delle prime sono di difficile, quando non impossibile, distinzione. Riff su riff su riff, supportati da un drumming sicuramente efficace ed efficiente, persi nella nebbia dei fumogeni da palcoscenico (il concerto si è svolto, come d'abitudine, totalmente al buio, con l'unica illuminazione data dalle luci posizionate sulle tastiere delle chitarre, questa volta nemmeno un cero sul palco), con le occasionali incursioni vocali di Nathan e Kody che quasi mai riuscivano a ritagliarsi il proprio posto all'interno della massiccia struttura intessuta dagli strumenti, finendo sempre per essere udibili a stento, faticosamente.
Il vertice della serata è stato toccato con il penultimo pezzo, "I Will Lay Down My Bones Among The Rocks And Root", brano conclusivo di "Two Hunters", dove dati gli svariati cambi di tempo all'interno dello stesso, le chitarre si sono rivelate più udibili e coinvolgenti ed è stato possibile distinguere i vari passaggi lungo la struttura della canzone, mentre durante le altre quattro esecuzioni il riconoscimento si è rivelato più arduo. Nonostante due o tre imbecilli abbiano tentato del pogo, fortunatamente con ben poco successo, la potenza e la carica emotiva di una composizione del genere hanno coinvolto quasi tutti i presenti, a giudicare dal moto improvviso di teste e spalle all'interno della sala gremita.
Apertura e chiusura del concerto sono state affidate, com'era lecito aspettarsi, a due brani di "Celestial Lineage", i quali però non hanno suscitato le stesse emozioni che invece toccano su disco, forse per la scelta, come accennato, di non portare sul palco i diversi orpelli di cui il gruppo fa sapiente uso durante le sessioni in studio. Un personale appunto: mi chiedo come mai, pur utilizzando le registrazioni di basso, scelgano di non riproporre anche, ad esempio, le vocals femminili o le tastiere, parti fondanti di quest'ultimo full lenght. Sicuramente sarebbero state utili per donare maggiore varietà, emotività e non ultimo riconoscibilità alle canzoni.
Dopo la conclusiva "Prayer Of Transformation", comunque, i Weaver salutano il pubblico del Leoncavallo, che pian piano esce dal buio dello "Spazio Foresta" per tornare alla propria vita di tutti i giorni, dopo quella che, nel bene e nel male, è stata sicuramente un'esperienza degna di essere vissuta. In ogni caso, ci auguriamo che le voci e i criptici commenti di scioglimento del gruppo restino tali.

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GALLOW GOD - False Mystical Prose


Informazioni
Gruppo: Gallow God
Titolo: False Mystical Prose
Anno: 2011
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: myspace.com/gallowgod
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Sin And Doom Of Godless Men
2. The Emissary
3. Summon The Rune Wizard
4. Ship Of Nails

DURATA: 37:36

Non so più dove sbattermi, le uscite del territorio doomico continuano ad aumentare e mantenere un altissimo livello, ho da poco recensito i The Wounded Kings con quel capolavoro che è "In The Chapel Of The Black Hand" e mi trovo subito a che fare con un'altra realtà britannica, i Gallow God, che m'immergono in maniera ossessiva, melodica e pesante all'interno di un mondo composto da Cathedral, Candlemass, Solstice, Isole, Warning e gli stessi loro connazionali appena citati, non vi bastano referenze simili?
"False Mystical Prose" vede in scaletta soli quattro pezzi, non arriva neanche a quaranta minuti fatto sta che l'ho ascoltato talmente tante volte in un solo giorno da pensare che l'album durasse ore e ore peraltro senza stancarmi mai.
Premettendo che l'eredità dei Black Sabbath è sempre lì, impossibile negare che il riffing non subisca la fondamentale e da me adorata influenza del combo di Iommi, le fasi in cui il suono si dilata maggiormente si tingono di un fattore epico così imponente, fiero e decadente allo stesso tempo da portare alla mente una collisione fra gli Isole e i lidi funeral.
Il platter è avvolto da una cortina grigia, come se l'ascoltatore fosse costretto a orientarsi usando solo i suoni emessi dalla chitarra di Ricardo Veronese che pian piano si disperde, a venir fustigato dalla voce di Daniel Tibbals, anche lui avvezzo alla sei corde, capace di modificare la propria impostazione passando da un clean evocativo a un più severo e scuro "ringhiare", ve ne accorgerete quando le note dell'opener "The Sin And Doom Of Godless Men" avranno ricoperto la voglia che avevate in corpo di guardare al di fuori della finestra per intravedere una luce.
È un mondo nebbioso in cui i raggi non filtrano quello ricreato dai Gallow God.
Le canzoni, pur non variando più di tanto per costruzione, possiedono degli accorgimenti che le rendono riconoscibili, a esempio "The Emissary" è stata adornata con delle divagazioni solistiche che ne aumentano l'elegante portamento e "Ship Of Nails" utilizza il pianoforte per sprofondare ancor di più nelle già profonde acque dell'oblio, le chitarre si azzerano, la sensazione di caduta senza fine no mentre "Summon The Rune Wizard" si rivela più tosta e aggressiva, un quartetto che si fa rispettare.
La produzione nitida favorisce la resa della strumentazione in toto, è fantastico poter apprezzare la sezione ritmica nella sua integrità soprattutto perché la batteria sembra scandire nettamente le variazioni umorali dei pezzi evitando però al tempo stesso di prevaricare il resto. Non vi sono forzature, le linee di basso udibilissime a essa connesse permettono l'entrata a pieno contatto nel registro dinamico che da vita alle basi, così si può godere realmente di un disco.
"False Mystical Prose" è un acquisto di quelli che van fatti evitando di pensarci due volte, il doom quand'è suonato e vissuto a livelli così alti va supportato e posseduto unicamente in originale, quindi segnatevi il monicker Gallow God, ascoltate e poi fatevi un favore acquisendolo (il portafoglio a fine anno urlerà di disperazione... e va beh).

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VESPER - Possession Of Evil Will


Informazioni
Gruppo: Vesper
Titolo: Possession Of Evil Will
Anno: 2010
Provenienza: Italia
Etichetta: Düsterwald Produktionen
Contatti: myspace.com/vesperscum
Autore: Mourning

Tracklist
1. Narcotoxic Overdose
2. Scat 'Till Death
3. Gruesome Fornication
4. White Poison
5. Proliferation Of The Planet's Cancer
6. Possession Of Evil Will
7. Analfisted By Satan
8. Flesh For Masses
9. Raging Dogs
10. Sex Slave Zombie
11. H.K.H.K.H.P.

DURATA: 39:43

I Vesper sono un trio capitolino formato da artisti conosciuti nel circolo underground locale e non per le esperienze attuali e passate in realtà quali Consummatum Est, Vidharr, Abnader, Gremory e con "Possession Of Evil Will" danno alla luce il loro esordio in sede di full.
La proposta è più che mai ortodossa e legata alle radici dell'estremo, una miscela alcolica di Venom, Hellhammer, frizioni blackish di Darkthrone e Carpathian Forest con l'aggiunta di una spruzzata di Motorhead, può mancare Lemmy parlando di alcol?
Il platter è di quelli che una volta inseriti nello stereo vanno assorbiti in botta unica, undici tracce per nulla innovative ma che possiedono una discreta personalità e il piglio giusto per donare all'ascoltatore una salutare e coinvolgente scapocciata spaccacollo.
In tal caso sono da consigliare soprattutto pezzi come l'opener "Narcotic Overdose", "Gruesome Fornication", "White Poison", "Flesh For Masses" e "Sex Slave Zombie" ognuna delle quali rappresenta un picco dell'album per groove, blastato dirompente, flavour rock e composizione che cerca volutamente di distaccarsi leggermente dalla struttura ripetitiva fornendo una prova più incisiva sia da parte del comparto ritmico che vocalmente parlando.
Purtroppo "Possession Of Evil Will" non mantiene tale livello godereccio e di qualità per tutta la propria durata, il resto delle tracce, pur presentando un altro paio di episodio discreti come "Analfisted By Satan" e la titletrack dall'apertura "indemoniata", perde decisamente botta, con le rimanenti che risultano adrenaliniche sul momento per poi rivelarsi filler sul lungo corso.
La produzione è grezza, sporca ma esula dall'essere noisy, il sound della strumentazione è chiaramente udibile in toto, è un album che ha il suo perché "Possession Of Evil Will", ci dice che i Vesper hanno idee precise su come debba suonare la loro musica e verso quale tipologia d'ascoltatore sia indirizzata.
Amate il black/thrash/'n'roll? Troverete di vostro gusto questo lavoro, prendetevi una bionda e iniziate a roteare la testa, che altro vi serve per farlo?

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FAD'Z KLAUS - FZK

Informazioni
Gruppo: Fad’Z Klaus
Titolo: FZK
Anno: 1993
Provenienza: Italia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: cesare.nuzzi[at]basisgroup.it - infomontechristo[at]yahoo.com
Autore: Akh.

Tracklist
1. Aladar
2. Have You Ever?
3. Light Years
4. Aladar (live bonus track)
5. Have You Ever (live bonus track)

DURATA: 12.52

Chi di voi vecchi metallari non conosceva un gruppo di giovani amici che avevano tirato su una band?
Chi non ne è rimasto affascinato, dal suono degli ampli in uno scantinato, dal sudore e dalle risate per i brani che non tornavano, ma che comunque avevano un incredibile charme, chi non ha desiderato ardentemente che riuscissero a tirar fuori quei brani e che fossero trasformati nella fatidica demo cassetta?

Beh... sono stato un giovane metallaro pure io e per me quel gruppo erano i Fad’Z Klaus; un nome che dirà qualcosa a veramente troppa poca gente, eppure anche a distanza di quasi venti anni i loro pezzi toccano corde della mia sensibilità ancora fresche, sarà perche’ volevo loro un gran bene, sarà perchè Cesare (Nuzzi - chitarra ritmica, basso e voce) e Alex (Scaturro - chitarra ritmica e solista) avevano un talento esagerato, sarà perchè riuscire a miscelare Carcass, Confessor (questi due soprattutto per l'influenze nelle dinamiche di batteria), Metallica, Megadeth, e udite udite... Voivod, in chiave estremamente personale e alternativa non è roba che mi sia capitato di ascoltare spesso nei seguenti lustri...

Apre il demo la leggendaria "Aladar" (sì, proprio il ragazzino del cartoon cecoslovacco a cui piaceva esplorare l'universo con la sua astronave gonfiabile) con il suo giro di basso che rimane scolpito in mente immediatamente per la sua fluidità acida su cui si appoggiano le robuste asce, la drum machine (eh sì... questi signorini erano avanti anni luce alla faccia dei poveri metallini dell’epoca) picchia durissima e nonostante la spigolosità dello strumento hanno passaggi dinamici variegati e ricchi di sfumature, la doppia cassa ha dei disturbi di distorsione per quanto è stata spinta (ma ricordiamoci che questa è l’era del rinomato Tascam 4 tracks e del doppiaggio allo stereo) ma il godimento è assicurato comunque.
Il riffing è acido sia in certi accordi che nelle melodie scelte in chiave solista e pur un gusto al limite dell’astrale (cosa assolutamente inusuale per il Thrash) riesce a essere al contempo serrato e violento, fino allo sprigionarsi di breaks arpeggiati ricchi di tensione e nervosismo che erano la base per le ripartenze ritmiche del gruppo, su cui tornare a scuotere forte i nostri capoccioni.
La seguente "Have You Ever?" tende a ribadire il concetto su cui i nostri giocano ovvero asprezza e dinamismo ritmico a disposizione di un Thrash al fulmicotone in cui la potenza dei 'tallica si va ad unire ai Megadeth più aspri ed ai visionari Voivod, fra stop and go azzeccatissimi e riff brillanti, fino allo sfociare nello splendido lead di Alex di ispirazione friedmaniana, che si va ad innestare su ritmiche frenetiche e dal grande impatto sonoro.
L’ultima "Light Years" è il pezzo più "peso" della tape pur mantenendo lo stile inconfondibile dei Fad’Z Klaus, un minuto e quaranta di energia in cui tirar fuori gli ultimi sprazzi di adrenalina.

Il peccato vero è che non siano state inserite le vecchie canzoni come ad esempio la stupenda "Herrenrasse" o "Seems Like", ma che siano state riproposte solamente le tre songs in questione lasciando indietro anche la "nuova" ("Acquafresh") in cui lo spirito voivodiano epoca "Angel Rat" è aumentato ulteriormente arrivando quasi ad essere psichedelica.
Le due bonus tracks ci portano nel garage prove del gruppo (il mitico Lab!!!) dove oltre alla versione totalmente umana della batteria troviamo finalmente la voce di Cesare tagliente al punto dal sembrare quasi flangherata, aumentando la sospensione visionaria delle canzoni, come assistere musicalmente al "Pasto Nudo" di William S. Burroughs.

Una cassetta che mi venne regalata dal gruppo in persona, cosa c’è di strano?
È una cassetta demo che non è mai uscita e i Fad’Z Klaus non hanno mai visto attribuirsi gli elogi che meritavano più che abbondantemente, per la loro proposta fuori dagli schemi eppur restando maledettamente metallici e duri.

Se fossi in voi cercherei di contattare Cesare, il vero leader e cuore pulsante del gruppo, e lo inviterei a ritrovare quelle cassettine e trasformarle in files da condividere; questo perchè i Fad’Z Klaus avevano (e secondo me hanno tuttora) tutte le carte in tavola per non essere solamente un personale culto, ma un culto per tutti.

Un nome nel cuore: Fad’Z Klaus

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MOLOCH - Der Schein Des Schwarzesten Schnees


Informazioni
Gruppo: Moloch
Titolo: Der Schein Des Schwarzesten Schnees
Anno: 2009
Provenienza: Ucraina
Etichetta: Misanthropic Spirit
Contatti: www.myspace.com/molochukr
Autore: Leonard Z

Tracklist
1. Gates Of Spiritual Vyrdin
2. Mein Wesen Ist Eins Mit Dem Schmerz Der Natur
3. Die Menschheit Ist Nichts Ohne Der Natur
4. Philosophie Der Depression
5. In Dorniger Finsternis Wurde Der Weltenschmerz Geboren
6. Dies Ist Ein Pfad An Dem Ich Dich Vor Einiger Zeit Verlor
7. Winterliche Teilnahmslosigkeit
8. Ein Teil Meiner Essenz Wird Hier Immer Verweilen
9. Ein Gefühl Der Apathie Im Sterbenden Universum
10. Melancholie 25.01.2009
11. Schmerz Und Leere Werden Immer Ein Teil Von Mir Sein

DURATA: 01:05:06

Moloch è l'incarnazione dei deliri del dolore di Pr. Sergij, musicista della scena ucraina che si sbatte attivamente per supportare la scena estrema. E per "scena estrema" intendo quella nicchia composta da musicisti che si interessano di noise, power electronic, ambient e suicidal-depressive black metal. Il cd che viene qui recensito è uno degli ultimi nella sua prolificissima carriera musicale, basti dire che sotto il monicker Moloch Sergij ha pubblicato ben venti uscite solo nel 2008! "La lucentezza della neve nera" (titolo dell'album) si annuncia come un lungo e monolitico lavoro in cui depressione, desolazione e dolore la fanno da padrone. Un primo ascolto potrebbe far accostare questi brani a quelli di Xasthur, ma vi sono alcune notevoli differenze. La prima, che salta subito all'orecchio, è l'aspetto noise che pervade tutto il lavoro: se le tastiere hanno il compito di tracciare la melodia, le chitarre (notevolmente preponderanti nel mixaggio) non ricalcano le linee ritmiche della batteria, dando così un senso di disorientamento e straniazione che conferisce a tutto il lavoro un aspetto decisamente disturbante e alieno. Il senso di alienazione è presente anche in altre scelte stilistiche, come quella di usare titoli in tedesco mentre i testi dei brani sono cantati in ucraino (il booklet contiene anche le traduzioni in inglese, grande mossa!). Il punto migliore di questo cd è senz'altro la voce di Sergij, che passa dal parlato al cantato più disperato e aggressivo donando varietà al lavoro e conferendogli un tocco di "sincerità" che manca a quello di altri musicisti nell'ambiente del dsbm i cui dischi risultano spesso "fatti a tavolino". Il cd contiene anche il video della traccia "Philosophie Der Depression", che mostra Sergiij procedere nella neve di uno dei boschi della sua terra. Video centratissimo con il concept dell'album, legato all'allontanamento dell'uomo dalla vita in comune nei villaggi per unirsi nella morte alla natura incontaminata delle foreste.
In definitiva non aspettatevi da questo album il canonico disco di dsbm, non lo è e credo che non lo volesse essere nell'intenzione del suo creatore. Senz'altro non è per tutti e può fortemente non piacere a chi voglia un disco canonicamente melodico e a chi non digerisce l'ambient e soprattutto il noise. Se invece cercate un album con canoni estetici e stilistici non usuali, e se siete disposti a sforzarvi per capire un lavoro che sembra scritto e suonato per essere più uno sfogo intimo che un prodotto commerciale, allora questo album di Moloch fa proprio al caso vostro.

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STRANGE CORNER - Tutto In Un Momento

Informazioni
Gruppo: Strange Corner
Titolo: Tutto In Un Momento
Anno: 2011
Provenienza: Italia
Etichetta: Hot Steel Records
Contatti: www.strangecorner.com
Autore: Advent

Tracklist
1. Abbassa Lo Sguardo
2. Chiusi E Stanchi
3. Prega Per Me
4. Tutto In Un Momento
5. Lacrime E Bugie
6. Cator Pitade
7. La Tua Mente Muore
8. Pazzo
9. Il Ballo Dei Potenti
10. Cadere E Farsi Male
11. Tu Non Sai

DURATA: 45:00

Sono incazzato. Ho bisogno di sfogare quello che ho dentro. Questa la mood per ascoltare "Tutto In Un Momento". Gli Strange Corner ce l'hanno con il mondo e fanno bene, fanno hardcore. Sono svegli, non perdono nulla del tempo che hanno a disposizione per splattellare un po' di sana rabbia. I riffoni sono da morire di scapocciamento, la produzione è con i controcoglioni, siamo lontanissimi dai tempi il cui l'hardcore era registrato in un parcheggio ma la sostanza è incredibilmente rimasta la stessa. La musica si evolve, si potenzia, ogni volta che ascolto le nuove uscite mi chiedo quanto ci sarà dentro della vecchia scuola, cosa ci sarà di metalcore o post-qualcosa. Con gli Strange Corner puoi dire tranquillamente: "fottetevi etichette". Picchiare forte e veloce è la soluzione sempre adottata, il cantato in italiano rivela le ottime abilità di chi sta dietro al microfono, non sbaglia mai una virgola e ogni urlo è perfetto, sinceramente posso dire che c'è solo da imparare da uno così, dal vivo sono sicuro sarà imperdibile. Il resto degli strumenti è perfettamente equilibrato, le formule non sono mai scontate anche se non c'è da urlare all'innovazione, chi ha beccato gli Strange Corner sapeva bene cosa stava cercando e non rimarrà deluso, un basso che si trascina benissimo su un red carpet steso da una batteria furiosa, da notare le parti di chitarre sempre azzeccatissime con tanto di ulteriori registrazioni che impreziosiscono ancora di più le tracce. Che dire ancora cari amici? Quest'album è pazzesco, mosh dall'inizio alla fine, di quelli intensi. Nella sua semplicità, nella sua immediatezza, tutto questo sbraitare in italiano da forza, ci vuole passione per fare hardcore, una cosa che se non ce l'hai non te la puoi far venire, e gli Strange Corner hanno dimostrato di avercela dalla nascita, continuate così, perché siete riusciti a farmi sfogare "Tutto In Momento".

P.S.: Mai come ora "Il Ballo Dei Potenti" ha senso come cronaca politica. Incuriositi eh?

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ESKHATON - Nihilgoety


Informazioni
Artista: Eskhaton
Titolo: Nihilgoety
Anno: 2011
Provenienza: Australia
Etichetta: Nuclear Winter Records
Contatti: myspace.com/eskhaton - nuclearwinter.cjb.net
Autore: ticino1

Tracklist
1. Intro
2. Transcendental Interstice
3. Xenolith of Doom
4. Spacequake
5. Antimission
6. Nihilgoety
7. Exoverse Assassin
8. Poltergeist Possession
9. Manipulatime Descent
10. Megaloport
11. Blackoutro

DURATA: 49:19

Dal buco nell’Ozono sopra l’Australia ci raggiunge un trio sospetto e losco chiamato Eskhaton. Questi è totalmente "fresco", fondato nel 2010 e con una discografia limitata al disco discusso qui.

Le sonorità presentate differiscono parecchio dall’offerta tipica dei ristoranti musicali di "Down Under". La musica è un death metal nero e pesante che entra nei canoni di gruppi come gli Incantation. Questi canguri si mostrano dal lato più oscuro e ci spingono nel baratro dell’Ade.

I musicisti dimostrano senza eccezione di padroneggiare gli strumenti e c’incitano a scuotere la testa a ritmi che attingono al passato più profondo del metal satanico. La stregoneria è di casa in questo disco malvagio che celebra undici rituali astrusi e cupi lasciandoci in profonda trance autodistruttiva.

Gli assoli stridenti sono solo alcuni dei passaggi che ci ricordano la vera radice del male: gli Slayer.

Obbligo? Dovere? Decidete voi. Questo disco è sicuramente ben fatto e merita un piccolo ascolto; spero che troverà posto nelle vostre collezioni (fisiche).

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HATESWORN - II - Long Gone


Informazioni
Artista: Hatesworn
Titolo: II – Long Gone
Anno: 2011
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Bergstolz
Contatti: www.bergstolz.ch
Autore: ticino1

Tracklist
1. IV - The Great White Light
2. V - The End Of A Life
3. VI - Long Gone

DURATA: 20:36

Hatesworn, lo ricordo, è un progetto proveniente dal Canton Grigioni, in Svizzera. S., la testa del gruppo, è una presenza molto attiva e conosciuta nel piccolo del movimento oscuro elvetico.

Quest’anno ci offre ben due CD demo di cui quello discusso qui non è null’altro che la continuazione di "Hatecult". "IV" continua la storia di tristezza e depressione raccontata già parzialmente in tre capitoli strazianti e atmosferici. Una voce femminile intona un canto che pare sia colmo di mestizia provocata dalla mancanza dell’uomo lontano e forse scomparso per sempre. Gli strumenti musicali sembrano essere solo il sottofondo per il lavoro vocale della ragazza e per gli inserti straziati di S. Di primo acchito sento qualche tocco burzumiano, soprattutto nelle tastiere. Gli arpeggi sono lenti e si protraggono dolorosamente per tutta la durata del disco. La pena espressa dalle corde vocali di S. sostiene un’impalcatura di tristezza e disperazione che non molla più l’ascoltatore. Il pezzo "Long Gone" mi porta un velo come quello che io sentii ascoltando gli Urfaust per la prima volta.

Come il suo predecessore anche questo lavoro è da gustare con cautela e non è adatto agli ascoltatori che vogliono metallo spaccaossa e sostenuto. Gli amici delle note più depresse troveranno forse qui pane per i loro denti.

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SÓLSTAFIR - Svartir Sandar


Informazioni
Gruppo: Sólstafir
Titolo: Svartir Sandar
Anno: 2011
Provenienza: Reykjavik, Islanda
Etichetta: Season Of Mist
Contatti: Sito - Facebook - Myspace
Autore: Bosj

Tracklist
CD 1 "Andvari"
1. Ljós í Stormi
2. Fjara
3. Þín Orð
4. Sjúki Skugginn
5. Æra
6. Kukl

CD 2 "Gola"
1. Melrakkablús
2. Draumfari
3. Stinningskaldi
4. Stormfari
5. Svartir Sandar
6. Djákninn

DURATA: 77:24

Di acqua sotto i ponti negli ultimi dieci anni in casa Sólstafir ne è passata tanta, tantissima; se non fossimo certi del contrario, diremmo che quello di "Í Blóði Og Anda" (2002) era un altro gruppo. Invece sono sempre loro, i soliti quattro Islandesi che ci hanno abituati a piccoli, inclassificabili capolavori.
La miscela di elementi black (ormai pressoché del tutto spariti), stoner, psichedelici, progressivi e quant'altro continua a rendere impossibile la precisa descrizione del genere proposto dal quartetto; basti sapere che il risultato è qualcosa di innegabilmente bello.
Avevamo lasciato la formazione due anni e mezzo fa con un disco densissimo ed estremamente "sludgy" quale era "Köld", la ritroviamo oggi a proseguire sullo stesso percorso, ma seguendo linee di sviluppo sempre nuove ed imprevedibili.
"Svartir Sandar" è infatti tanto la naturale prosecuzione del discorso inaugurato ormai più di un lustro fa con "Masterpiece Of Bitterness", quanto una nuova tappa raggiunta da un gruppo in costante fermento creativo. Non è un caso che questo nuovo sforzo sia un doppio album: i quasi ottanta minuti del disco sono un fulgido esempio di come, in mani capaci, la lunghezza non sia affatto un limite, bensì un valore aggiunto. La prima parte del lavoro, "Andvari", maggiormente incentrata sulla psichedelia, su momenti delicati e lontani dall'immaginario estremo, ci mostra una band dalla sensibilità innata e dalla grandissima emotività, che trova poi in un lungo brano come "Fjara" l'ottimo supporto della cantante Rebekka Kolbeinsdóttir (anche protagonista del clip della canzone su cui il gruppo sta lavorando proprio di questi tempi) a consacrare una delle migliori composizioni del combo di sempre. Nella seconda metà, "Gola", abbiamo invece un'impostazione più rock e più epica, di cui la titletrack è perfetta summa. La differenza di atmosfera tra le due parti tuttavia non è netta, ma perfettamente naturale ed amalgamata: non è quindi raro avere a che fare con momenti più "spinti" lungo brani di "Andvari" ("Æra") o viceversa più lenti durante "Gola" (la conclusiva "Djákninn"), con la voce di Aðalbjörn a fare da traino in qualunque situazione.
Insomma, spontaneità e comunicatività la fanno da padrone rispetto ad un qualsiasi schema razionalizzato, e ancora una volta non possiamo che ringraziare Guðmundur (persona disponibilissima anche per corrispondenza, sottolineo), Sæþór, Svavar e Aðalbjörn.
Ora speriamo solo di vederli dal vivo e da headliner dalle nostre parti, che ai grandi festival in giro per l'Europa non è la stessa cosa.

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BOTANIST


Informazioni
Autore: Mourning
Traduzione: Insanity

Formazione
The Botanist - Voce, Batteria, Dulcimer


Il progetto Botanist è di quelli particolari, potrete farvene un'idea leggendo la recensione di "I: The Suicide Tree / II: A Rose From The Dead" già inserita nel sito. Il personaggio che si cela dietro questa creatura è Otrebor, conosciuto anche come batterista degli Ophidian Forest, è con lui che scambieremo un paio e più di pensieri.

Benvenuto su Aristocrazia Webzine, è stato per te un anno intenso questo 2011, è uscito lo split con i Pyrifleyethon degli Ophidian Forest (anch'esso recensito sul nostro sito), hai preparato e rilasciato l'album di debutto contenente i primi due capitoli dei Botanist e stai già lavorando al terzo che a quanto ho letto sul tuo sito dovrebbe chiamarsi "III - Doom In Bloom". Come si ci mantiene così reattivi e pronti a dar vita alle composizioni?

Grazie. Parte di questa tua idea è dovuta all'illusione che la musica venga pubblicata appena è stata registrata. Nel caso di "III: Doom In Bloom" considera che le parti di batteria sono state registrate a marzo 2008, e il resto tra marzo e l'estate del 2010. Per cui sono quasi quattro anni da quando sono state registrate le parti di batteria alla pubblicazione. Nello split degli Ophidian Forest che hai citato la batteria venne registrata nel 2008, in estate. Le canzoni di "Summoning Of The Igneous" sono le nostre b-side del terzo album, "Susurrus", che è stato completato a fine 2009, e deve ancora essere pubblicato. Non abbiamo piani riguardo a questo (qualche lettore è interessato a pubblicarlo?). A gennaio, un altro split degli Ophidian Forest verrà pubblicato, questa volta per UW Records. La label ci ha detto che faremo uno split con la one-man band americana Heresiarchs Of Dis. Anche in questo caso alcune parti sono state registrate due anni fa. Anche gli album di Botanist "IV: Mandragora" e "V: Whorl" sono stati terminati, e passerà un anno e mezzo dal loro completamento prima che vengano pubblicati. Per cui, sì, parte della tua idea che io sia occupato con la musica è anche perchè sono veramente occupato con essa. Sono occupato perchè sono ispirato a farla, e continuerò a fare musica a questo ritmo finchè avrò ispirazione, perchè non do per scontato che ci sarà sempre, un giorno potrei non averne più.


Perché sono nati i Botanist? E cosa ti ha condotto alla scelta del monicker?

Botanist è nato come uno sbocco per fare musica al ritmo che voglio. Mi piace lavorare con altri, ma in genere trovo che lavoro più velocemente e appassionatamente degli altri. Invece di essere frustrato, prendo io il controllo e faccio tutto da me. Questo mi permette di continuare a lavorare con gli altri e rende più facile per me soddisfare il mio bisogno di creare con Botanist mentre per esempio potrebbero volerci due anni per completare un album con gli altri. La scoperta che fare musica da me produce uno dei più grandi sensi di espressione emotiva di creatività è un ottimo motivo per continuare Botanist. Ho scelto il nome Botanist per la decisione di fare un progetto dedito al culto delle piante. Potete trovare più informazioni sull'idea alla base di questo progetto (ad esemprio il personaggio di The Botanist, il Verdant Realm, Budding Dawn, e altro) su www.botanist.nu.


Cosa intendi con la definizione "Eco-Terrorist Black Metal"?

Questa descrizione non ha lo stesso significato di quella comunemente conosciuta, di persone che agiscono come terroristi per motivi naturalisti sabotando alberi e macchinari per danneggiare ciò che vedono come dannoso per l'esistenza della Natura. Piuttosto, il termine "eco-terrorist" nel caso di Botanist vede la Natura in sè come terrorista contro l'umanità, e più precisamente una rappresentazione di come The Botanist, nel suo modo di vedere il mondo, vede la Natura in questo ruolo.


Nell'ultimo lavoro che ho ascoltato degli Ophidian Forest, lo split "Summoning Of The Igneous", la formazione in cui militi suona tutt'altro che un black canonico. Con questa tua opera sei andato ben oltre, lo stile è molto "free", secondo quale logica hai messo insieme i brani? Parlo di musica, liriche e anche i titoli, come si fa ad accoppiare a un pezzo il nome di una pianta? È insolita quanto interessante perché coincide con quello che Dìsa ha fatto con i suoi Turdus Merula in "Herbarium".

Le canzoni di "I: The Suicide Tree / II: A Rose From The Dead" sono state scritte prima su batteria. Sono andato a registrare con l'idea di fare un album come altri, con canzoni brevi, poichè l'idea iniziale era di fare qualcosa di vicino al grind. Sono stato in una band grind anni fa e abbiamo fatto alcune canzoni che trovavo molto interessanti come risultato del mio suonare corto, con raffiche intense di batteria per metà preparate e per metà improvvisate, su cui il chitarrista scriveva i riff. Il risultato di questo esperimento può essere ascoltato sullo split tra Gesewa e Utter Bastard "Rising Sun Fuckers / Kusottare Yankee" pubblicato nel 2007 su Bloodbath Records e, in minor parte, sul secondo album degli Ophidian Forest, "Plains". Le trentanove tracce di batteria divise in due sessioni sono state registrate con alcune nozioni sugli arrangiamenti, ma lavorando molto con la spontaneità. Poi ho portato le registrazioni a casa, ri-imparato cosa avevo suonato, e scritto musica sulle strutture della batteria. I testi sono stati scritti senza una particolare canzone in mente, con alcune eccezioni, come"‘A Rose From The Dead" e "Dracocephalum". Ogni testo poi è stato applicato alla traccia più adatta ad esso. In questo caso, ogni passo successivo della registrazione era più limitato dallo spazio offerto, e ciò ha reso l'esperienza più mirata ad ogni stadio della creazione. La scelta delle piante è avvenuta leggendo libri di botanica, imparando cose sulle piante da questi libri, e poi conoscendo anche altri piante, etc... Un po' come succede quando scopri una band o un genere. Finchè ci saranno i testi, non ci sarà fine per l'ispirazione di Botanist poichè sarebbe impossibile scrivere tante canzoni quante sono le piante. Non conoscevo Turdus Merula fino a quando non seppi della pubblicazione di "Herbarium" per Le Crépuscule Du Soir (che per coincidenza ha pubblicato anche lo split degli Ophidian Forest "Summoning Of The Igneous"). I lavori di Turdus Merula e Botanist sono stati registrati nello stesso periodo, e ti assicuro che nessuno dei due conosceva l'altro. Di sicuro la similarità dell'approccio ai titoli farà fare paragoni alla gente... e perchè no? Certamente il concept sulla Natura, particolarmente in un contesto black metal, è avvincente, e assolutamente niente di nuovo. Di certo la musica dei due progetti è differente l'una dall'altra. Non posso parlare con sicurezza sul contenuto dell'album dei Turdus Merula "Herbarium", dato che è in svedese, ma penso di aver letto che parla molto di piante psichedeliche (l'artwork raffigura mandragore, creature mitologiche che nascono dal fiore della Mandragora). Non posso parlare per Dísa, ma mi sembra che Turdus Merula abbia tematiche più ampie e libere (per esempio, Turdus Merula è un uccello), mentre Botanist è più in un mondo, un'ambientazione e un racconto specifici e dettagliati, in cui le piante, e anche il personaggio The Botanist, esistono in questo Plantae World. Ho apprezzato "Herbarium", supporterò Turdus Merula e sarei contento di fare uno split in futuro, poichè penso che date le tematiche simili dei due progetti verrebbe fuori un album interessante.


Hai volutamente scelto di mettere di lato chitarra e basso optando per il dulcimer (è uno strumento che si può usare sia pizzicandolo che percuotendolo) che ha dato anche un tocco ancestrale alle canzoni. Avanguardismo retrò? Quando hai avuto modo di apprezzare questo strumento e hai pensato fosse adatto al tuo scopo?

Un dulcimer percosso ha molto senso per qualcuno che è principalmente un batterista. Sono bravo a colpire a tempo e mentre l'equilibrio e le dinamiche di una bachetta e di un martelletto del dulcimer sono diversi, l'idea di base e l'implementazione di ritmiche basate sulle mani è la stessa. In più, il suono di un dulcimer percosso e il suo elemento armonico in particolare, è molto interessante per me.


I due capitoli del platter sono un costante far mostra di sfaccettature differenti, in alcuni frangenti di "II: A Rose From The Dead" l'aria sembra quasi rasserenarsi grazie ad alcune variazioni "briose". Dato che il tuo modo di suonare black è a stretta connessione con la natura, ne volevi rappresentare le due facce?

La musica è un mezzo per esprimere emozioni. Come con altri tipi di dimaniche, voglio che Botanist abbia anche una gamma di emozioni. Se hai sentito allegria da qualche parte in "II", probabilmente è perchè ce n'era davvero in alcuni punti, forse per il trionfo e la gioia di essere capace di incanalare emozioni in un modo così unico e soddisfacente. Intendo sviluppare ancora di più questa gamma di emozioni nel corso della carriera di Botanist.


Cos'è per Otrebor il Black Metal?

È una domanda troppo ampia, ma posso dire che ciò che mi attrae del black metal sono i suoi aspetti unici di estremismo, esclusione ed oscurità. Riconosco un aspetto di bellezza sublime che diventa evidente solo quando si riesce a guardare dietro le più evidenti caratteristiche di durezza e bruttezza. A livello di sonorità, mi piace il suond "fuzzy", ronzante ed amorfo che il black metal spesso ha. Per i miei gusti, il black metal avrà in genere un certo senso armonico che si lega molto bene a me, e che mi ispira per la mia musica, come anche altre forme di musica.


La scena statunitense ha ora come ora due punti di riferimento importanti, l'Illinois e i musicisti che girano attorno al mondo formato da gente come Nachtmystium e lo stato di Washington con i Wolves In The Throne Room, anche se di act da citare nell'estremo tutt'altro che seguace dell'old school ce ne sarebbero tantissimi. Ti ritrovi all'interno di questo panorama? Credi che i Botanist siano in parte sulla stessa loro scia, quella che cerca di essere più personale e "libera"?

Se Botanist ha veramente un modo personale e libero di suonare, per definizione non può essere simile a nessun altro gruppo. Mentre le band che hai citato sono in effetti due punti di riferimento, sono solo due tra tante. Penso che il miglior black metal uscito dagli USA sia stato quello della Bay Area o di gruppi in crescita legati al Black Circle in Southern California. Tornando alla tua domanda, se mi sento parte della scena, direi non proprio, poichè pochissime persone, o forse nessuno, mi conosce personalmente. Sono interessato nell'avere connessioni con altre band, e i gruppi della Bay Area in generale, poichè vedo che la migliore arte viene fuori in una situazione in cui gli artisti sono in contatto tra loro e si ispirano a vicenda.


Quali sono state le band che ti hanno introdotto al genere e quali quelle che ascolti tuttora di più? E fra le cosidette nuove leve ci sono formazioni che ritieni abbiano apportato (oltre le citate sopra) qualcosa di realmente innovativo?

Senza dubbio, gli Immortal mi hanno introdotto al black metal (il mio primo tentativo è avvenuto con i Marduk di "Nightwing" e al tempo credevo fosse assurdo. Guardando indietro, era troppo lontano da cosa ascoltavo allora. Ora amo quell'album). Gli Immortal hanno salvato il black metal per me. L'album è stato "At The Heart Of Winter", forse perchè era un ottimo modo per collegare il mio amore per l'heavy metal con il black metal. Ad oggi gli Immortal forse sono ancora la mia band black metal preferita. Non mi vergogno di dire che i miei tentativi vocali su "I/II" sono ispirati dagli Immortal, poichè al tempo sembrava fosse l'unica cosa che potessi fare per autosoddisfarmi. Mi piacerebbe pensare che da allora, nel futuro, la voce di Botanist migliorerà in continuazione, o almeno che si evolverà, in qualcosa di più personale. Altre band che mi hanno introdotto al genere e che continuo ad amare sono Aeturnus (in particolare i primi album), Thy Primordial, Ulver (i primi tre album), Weakling, i Taake di "Nattestid" e Nagelfar per dirne alcuni. Da allora, band come The Ruins Of Beverast, Alcest, Drudkh (magari non molto in "Handful Of Stars"), Ygg, Pestilential Shadows, Belenos, Velvet Cacoon, Akercocke, Inquisition e i Nokturnal Mortem di "Triumph Of Steel" sono quelle più recenti che apprezzo. Ce ne sono molte altre e molte altre ce ne saranno.


Il package di "I: The Suicide Tree / II: A Rose From The Dead" è una piccola opera d'arte che s'incastra perfettamente con il nome della band e l'essenza naturalistica dell'album, da chi è stato curato?

Il booklet e la custodia degli album sono state stampate da una società che si chiama Stoughton, che è l'unica a fare quelle custodie particolari in stile LP. Sono soddisfatto del loro lavoro e anche se c'è stato un disaccordo inizialmente, sento che alla fine erano onesti e hanno lavorato duro. Ho scelto l'immagine, il font, e il look generale (con un piccolo aiuto dal boss della tUMULt Andee Connors). Il layout è stato messo insieme da Nathan Berlinguette della ENBE design. I cd sono stati stampati da una società della Bay Area che si chiama New Cyberian. Sono brave persone e i loro prezzi e servizi sono consigliati.


Sei pienamente soddisfatto di questo disco? Com'è stato accolto dalla critica (webzine e rivisti di settore) e da chi ha seguito il progetto sin dai primi passi?

Quanto spesso gli artisti sono pienamente soddisfatti del loro lavoro? Forse la miglior risposta è dire che anche se il sound di Botanist si è evoluto molto dai primi due album, li vedo ancora come una parte del lavoro completo, e penso che sarà così anche se ne farò a dozzine fino alla mia morte. Soprattutto creo con Botanist per soddisfare. Anche se nessuno lo apprezzasse continuerei a creare. A parte questo, credo che Botanist potrebbe avere un fascino da culto, poichè è una nicchia del black metal che è già una nicchia in sè. Questa impressione è aumentata quando tUMULt ha voluto pubblicarlo, dato che vedo la tUMULt come una delle label più di culto. Malgrado questo, i commenti ricevuti in neanche quattro mesi dalla pubblicazione dell'album e, in effetti, del progetto (non ci sono fan che mi hanno seguito dall'inizio, poichè nessuno ne sapeva niente, tutti i fan sono nuovi) sono stati di molto oltre ogni mia aspettativa. Il fatto che la stampa voglia contattarmi o che le etichette indipendenti vogliano pubblicare miei futuri album è qualcosa che non avevo mai provato. È ispirante. Detto questo, anche se ci sono stati commenti negativi in alcuni articoli, sto aspettando che arrivi una recensione totalmente negativa. So che succederà, e quando accadrà la posterò insieme a quelle positive.


Quali sono le tue passioni extra musicali? Qualcuna è confluita nel tuo modo di vedere e scrivere musica?

Non sarà una grandissima sorpresa ma amo piante e animali. Amo camminare tra la natura e prendere tempo per fermarmi e osservarla. Mi piace stare in forma e andare in bicicletta. La buona salute mi interessa. Non potrei mai stare in una di quelle band stereotipate in cui i membri sembrano avere sempre una birra in mano. Me ne andrei subito. Amo imparare cose su altri stati e linguaggi. Adoro i videogiochi. Sono una perdita di tempo, ma per staccare un po' il cervello e scappare in qualche fantasia sono ottimi. Ultimamente sono stato assorbito da "Phoenix Wright: Ace Attorney", la serie di videogiochi da avvocato per Nintendo DS. Questa serie è stata un'ispirazione improbabile: anche se la musica nel gioco è robaccia MIDI, ho trovato in essa qualcosa di eccellente nel modo in cui le composizioni erano scritte. Mi sono piaciute anche le percussioni! Mi piacciono i fumetti francesi. È una vergogna che così pochi arrivino sul mercato americano, perchè per la maggior parte distruggono anche le migliori cose prodotte in questo paese. I miei preferiti sono "De Cape Et De Crocs", "Garulfo", "Donjon", "La Quête De L'Oiseau Du Temps", anche "Lanfeust De Troy" e ovviamente i celeberrimi "Astérix" e "Tintin". Quest'anno ho letto i primi due volumi di una nuova versione delle storie mitologiche nordiche chiamata "Siegfried". Era intrigante ed epica. Non vedo l'ora di leggere altro. Ora sto leggendo una serie chiamata "Ghost Money". Per ora molto bella. Mi piacciono anche un paio di manga giapponesi, "Berserk" e "Detroit Metal City", che sono ognuno a modo suo i fumetti più Metal di sempre. Li consiglio, in particolare ai metallari.


I Botanist sono un solo-project, hanno o avranno pure una dimensione live o pensi che rimarrà unicamente uno progetto da studio?

Sarei interessato a portare Botanist sul palco. Ciò che lo rende difficile non è trovare gente con cui suonare e neanche trovare gente che suoni il dulcimer percuotendolo, ma trovare gente che suoni il dulcimer percuotendolo e voglia suonare in una band black metal così bizzarra.


La musica metal e quelle estrema in genere sono sempre messe sotto torchio, c'è sempre un motivo per attaccarle e ridicolizzarle agli occhi della gente. Queste campagne denigratorie sono guidate soprattutto da alti prelati e uomini di potere, non c'è forse la paura che ciò che invita a pensare sia sempre e comunque un'arma a loro sfavore? Il fuoriuscire da uno schema da "Grande Fratello" in stile Orwell è ancora possibile in questa società o si è costretti a rimanere forzatamente ai margini d'essa almeno per certi aspetti (e non è detto che sia un male)?

Non ho molto da dire a riguardo, tranne su come interpreto la parte finale su come "siamo forzati a stare ai margini di essa". Mi fa pensare ad un'idea che ho avuto per molti anni, in cui il miglior metal usciva da un posto in cui il metal non era così maltrattato ma piuttosto nessuno esterno al metal sapeva cosa fosse. Mi chiedo, poichè il metal è diventato progressivamente più popolare e commerciale dall'inizio del nuovo millennio ad oggi, se le band che vogliono essere famose abbiano in effetti creato problemi al livello artistico del genere. Prendiamo per esempio le label metal più famose come Nuclear Blast, Century Media, Metal Blade e Roadrunner. Anche la Earache. Mi sembra sempre più che i loro album mirino ad una sorta di centro commerciale in versione metal. È mallcore. Dev'essere che vendono bene, ma se la Century Media supporta band quali Vampires Everywhere! per ogni altra ragione che non siano i soldi, non so quale sia questa ragione. Non sembra che sia perchè amano il metal. La mia idea è che l'80% dei roster di queste label siano superflui, generici, suonano perfetti ma in realtà sono senza anima. È ironico e contraddittorio. La popolarità e la fama sono buone per il metal perchè c'è più budget per le produzioni, e un budget va più lontano con quanto siano più economiche le registrazioni oggi. Dato che ci sono più soldi a disposizione, la gente con abilità da musicista perfette ma vuote sarà più attratta dal fare materiale che vende, poichè il mercato per la roba piatta diventerà più grande con la crescita della popolarità del metal, lasciando di lato la miglior parte fatta da band che di solito non sono così sexy, ad esempio. In quel senso, è così brutto stare "ai bordi" come dici? O forse è meglio avere una versione del metal che verrà apprezzata dagli ascoltatori casuali del genere, e lasciare che le band più artisticamente valide producano i loro album per il loro pubblico relativamente piccolo? Cosa pensi?


Progetti a breve termine?

Il 2012 sembra che sarà un anno impegnativo per Botanist, ma anche per me come musicista. Probabilmente pubblicherò addirittura tre album di Botanist, "III", "IV" e "V". Sto finendo di registrare la musica per "VI", che metterò in pausa per registrare la batteria del secondo lavoro degli Ordo Obsidium. Poi, registrerò la musica e la voce per uno split di Botanist con Palace Of Worms, e farò musica più vicina al doom per un altro split di Botanist con una band sotto TotalRust, tutto questo penso che verrà pubblicato nel 2013. Poi registrerò anche la batteria per il progetto di un mio amico chiamato Lotus Thief, sarà uno dei progetti nel disco "Allies" incluso in "III". Se il tempo lo permette, e dopo il completamento di "VI", inizierò i lavori per "VII", di cui il sound di base e lo stile sono stati concepiti. Le prossime pubblicazioni schedulate sono "III" a febbraio su TotalRust e lo split Ophidian Forest / Heresiarchs Of Dis a gennaio 2012 su UW Records.


Siamo arrivati alle battute conclusive, a te chiudere come meglio credi.

Grazie per il vostro interesse.

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