lunedì 28 gennaio 2013

SACCAGE - Death Crust Satanique


Informazioni
Gruppo: Saccage
Titolo: Death Crust Satanique
Anno: 2012
Provenienza: Québec, Canada
Etichetta: Maltkross Productions
Contatti: saccage.bandcamp.com
Autore: ticino1

Tracklist
1. Motörcrust
2. Saccage Nocturne
3. Jump Le Train Pour L'Enfer
4. Beer, Dope & Evil
5. La Dérape Squad
6. Criss Toé Dans L'Pit Pour Satan
7. Death Crust Satanique
8. Milice Anti-Police Calice
9. Ostie De Chiennes De L'Enfer (Sur L'Cuir)
10. Merci Pour Tout Satan
11. Bois Ou Crève
12. Cirrhose Du Foie

DURATA: 29:36

Leggendo le informazioni riguardanti il gruppo Saccage, nome che significa "Saccheggio", trovo nuovamente quella definizione che, come il prezzemolo, pare vada bene in una moltitudine di pietanze, "black metal". Normalmente andrei oltre, s'incontra troppo pattume con quell'etichetta ma, dopo avere visto la copertina, decido di rischiare. Che cosa suonano questi canadesi infine?

Già da "Strappado" il metallo dal paese degli aceri sembra seguire la via dell'impatto basata su frasi concise e semplici. Ascoltando il disco "Death Crust Satanique" mi è saltato in mente di rispolverare la parola "crossover" tanto usata negli Anni Novanta. La base è un thrash lineare, crudo che onora sicuramente i vecchi dischi degli Slayer con la sua mancanza di compromessi e gruppi teutonici della prima ora che prestano la loro velocità, per passare ogni tanto a salutare la Scandinavia death, senza però dimenticare i grandi della propria nazione. Qualche tocco crust appare soprattutto sotto forma di batteria in stile d-beat e un riff un poco nero qui e là accontenterebbe pure chi vuole trovare il black anche nelle canzoni di Eminem.

I testi scritti prevalentemente in francese Québequois, dedicati a molti temi adorati da ogni rockettaro che si rispetti, sono interpretati da una voce asciutta e molto aggressiva che è perfettamente adatta allo stile musicale presentato. "Milice Anti-Police Calice" è una canzone di stampo hardcore con un coro cui potrebbe partecipare chiunque durante un concerto ed è l'unica che esce un poco dal modus operandi usato su questo lavoro.

Amate dischi d'impatto che arrivano immediatamente al punto con la loro mancanza di compromessi? Vi piace essere investiti da un treno musicale in corsa? Adorate canzoni intense e inzuppate di ritmi che vi spingono a buttarvi nel pozzo, a scuotere il cranio come degli ebeti e a saltare dal palco in mezzo alla folla (che ovviamente si aprirà come al passaggio di Mosé, permettendovi di baciare il pavimento)? Non perdete "Death Crust Satanique", ne sarete entusiasti.

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GRIEF OF EMERALD - It All Turns To Ashes


Informazioni
Gruppo: Grief Of Emerald
Titolo: It All Turns To Ashes
Anno: 2012
Provenienza: Svezia
Etichetta: Non Serviam Records
Contatti: Myspace - Sito - Facebook
Autore: Akh.

Tracklist
1. And Yes It Moves
2. God Of Carnage
3. Where Tears Are Born
4. It All Turns To Ashes
5. Cage Of Pain
6. When Silence Became Eternal
7. Warstorms
8. Stormlegion (Warstorms Part II)
9. The Third Eclipse

DURATA: 40:31

Continuando il nostro peregrinare in giro per l'Europa, ci fermiamo a fare una sosta in Svezia e incontriamo una vecchia amicizia: i Grief Of Emerald, band che ho seguito agli esordi con "...The Beginning" e il successivo "Nightspawn", dopodiché ne ho perse le tracce.

Li ritrovo quindi al loro quinto album, accasati presso la Non Serviam Records, che concede loro la possibilità di sviscerare tutto il potenziale distruttivo realizzato da un amalgama di Black Metal e influenze Death con l'aggiunta di tastiere che donano un certo alone sinfonico, a tratti morboso, alla devastazione messa in atto dal gruppo di Andreas Hedström (unico superstite della formazione originale). C'è da notare inoltre come l'intero artwork sia abbinato a fiamme e tonalità nero rossastre all'interno di una cattedrale, il che rafforza ulteriormente il concetto di attacco totale alla cristianità ed ai suoi principi.

Il riffing utilizzato per realizzare tale "blitzkrieg" è un insieme ben organizzato di Svezia e Norvegia, l'apporto melodico è però ridotto ai minimi termini e spesso concesso alle sole tastiere o ai solo chitarristici, mentre i ritmi sanno variare da pure sfuriate demoniche ad accenni o stacchi marziali come nella chiusura di "And Yes It Moves", in cui Havas trova una scala che mi ricorda molto da vicino "KZ" degli O.S. Non mancano poi aperture più Black/Death, dove l'ombra dell'Imperatore epoca "IX Equilibrium" affiora con tutto il suo tasso tecnico, "Where Tears Are Born" invece con il suo mid tempo incede fragorosa e altisonante. La stessa matrice Death è sfruttata per tirare l'ennesima bordata in "It All Turns To Ashes", nella quale i cambi di tempo la fanno da padrone e ci mostrano un gruppo che sa come maneggiare in maniera mefitica il proprio arsenale.

Oramai il quadro della situazione mi pare chiaro e comprende la veemenza ritmica della madre patria, la violenta fantasia espressiva dei Limbonic Art, la malignità dei vecchi Dissection (soprattutto negli innesti di pianoforte), la vena "power" dei migliori Dimmu Borgir, la carismatica verve degli Emperor, il taglio ferale dei Naglfar e la brutalità del Death Metal, ma è presente anche una vena personale tipicamente Grief Of Emerald ad accompagnare il tutto e il sigillo di Astaroth è compiuto.

 Il massacro ovviamente non accenna a fermarsi, e dopo un più calibrata "Cage Of Pain" i messaggeri infernali (la mercuriale croce rovesciata ne è una conferma) ci asfaltano con una triade che non concede tregua: "When Silence Became Eternal", "Warstorms" e "Stormlegion (Warstorms Part II)" esplodono in deflagrazioni continue, in cui frangenti Morbid Angel si riaffacciano fra le liturgie ricreate dai tasti d'avorio, in un crescendo epico di furia e violenza su cui Lehto può lanciarsi in strali di viscerale odio e sacrale feralità, lasciando macerie fumiganti tutte attorno, innalzando il proprio bordone satanico. La chiusura viene infine lasciata a una lanciata "The Third Eclipse" (che mi ricorda la spinta di certi Sinstorm) dotata di un ritmo altissimo e un drumming al fulmicotone che cancellano i residui ostacoli sulla strada: l'avvento degli svedesi è giunto!

Dopo questo "It All Turns To Ashes", la voglia di tornare a seguire lo schieramento dei Grief Of Emerald è tornata prepotentemente, perché se amate i gruppi sopracitati non potrete non valutarli fra gli alfieri di spicco di questo genere "sinfonico". Forse potrebbero inglobare ulteriormente le influenze, arricchendo ancora lo spessore della personalità, in quel momento niente e nessuno potrà più fermare il loro dominio.

L'ultimo fronte di battaglia non ha retto... la disfatta delle coorti angeliche è compiuta, materializzata e consumata.

L'unico vessillo rimasto nei cieli, è cenere.

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TSUBO - ...Con Cognizione Di Causa


Informazioni
Gruppo: Tsubo
Titolo: ...Con Cognizione Di Causa
Anno: 2012
Provenienza: Latina, Lazio, Italia
Etichetta: Eclectic Productions
Contatti: facebook.com/TSUBOBAND
Autore: Bosj

Tracklist
1. Matricidio
2. Cicatrici
3. Vermi
4. L'Odio
5. Nel Bene Nel Male
6. Come Pensi Così Sarai
7. A-Narcogrind
8. Non Trovo Pace (Sessossessione)
9. Terapia D'Urto
10. Reminiscenza
11. Fellatiocrazia
12. La Quiete E La Tempesta
13. Salt Mine [cover Assuck]
14. TV (Tara Volontà)
15. Un Nuovo Taglio
16. Avvezzamento Ciclico
17. Storm Of Stress [cover Terrorizer]
18. Furia Procace
19. Riflessi D'Evidenza
20. Colto Da Disperazione

DURATA: 35:19

Mai, mai scorderai
l'attimo, la terra che tremò.

Chiunque non riconosca questo incipit non è degno di dirsi cresciuto nella seconda metà degli anni '80 o inizio '90. Meno immediato (ma neanche tanto, in verità) è invece il riferimento del nome "Tsubo", ossia i "punti di pressione", elementi nodali del corpo umano nella dottrina della Divina Scuola di Hokuto.
Lasciamo a malincuore perdere la parentesi "mangofila" e veniamo al dunque: gli Tsubo sono un quartetto laziale attivo da quasi una decade che, sul finire del 2012, è approdato al traguardo del primo full lenght sotto l'ucraina Eclectic Productions.
Dopo un primo ep ("Anus Mundi", 2008) accolto in modo favorevolissimo un po' ovunque e un paio di split come ogni gruppo grind che si rispetti, è dunque giunto il momento del varo definitivo.
"...Con Cognizione Di Causa" altro non è che l'ultima parte di una lunga citazione impressa lungo tutto il booklet ("Imprimendo, con la poca luce rimasta, inguaribili paesaggi effimeri su gli ultimi fotogrammi di una spietata ma fedele pellicola... con cognizione di causa"), la quale si sviluppa orizzontalmente con quattro immagini in sequenza, rimandando al formato dei cari vecchi negativi fotografici, in cui viene raffigurata una pianta, rigogliosa e affacciata su di un placido paesaggio nel primo riquadro, via via in decadimento e, nell'ultimo "fotogramma", morta, con una città industriale in pieno rigoglio che ha preso il posto dei verdi prati.
Ora, su Internet mi è capitato di leggere commenti relativi a questo disco dai toni più disparati, tra cui anche forti critiche al gruppo nostrano, a detta di alcuni non abbastanza personale, troppo simile a tanti altri, come dire "bene, ma non benissimo". Mi piacerebbe sapere, posto il fatto che stiamo parlando di un disco grindcore non certo dalle velleità post-avant-impro-experimental-sticazzi, cosa si potrebbe chiedere di più da una band underground emergente.
Andiamo con ordine. Dal punto di vista formale il disco è ineccepibile: sfodera una confezione limata e curata nei minimi dettagli, a partire dalle illustri collaborazioni. L'album, registrato e mixato dalla band stessa con l'aiuto nientemeno che di Giuseppe Orlando, il quale si è poi prestato alle guest vocals di "Storm Of Stress" (cover dei Terrorizer), è successivamente finito in mano nientemeno che a Scott Hull di Pig Destroyer e Agoraphobic Nosebleed, il quale si è occupato del mastering.
Tra le collaborazioni "interne", nelle registrazioni, oltre al già citato Orlando, non a caso trova spazio come ospite alla voce sulla cover di "Salt Mine" (degli Assuck, dall'album "Misery Index") anche Jason Netherton; a questi due nomi "grossi", si aggiungono poi Diorrhea, Muculords e altri ancora. Non male come guestlist.
Passiamo al contenuto: venti tracce, trentacinque minuti in totale, attenzione certosina per ciascuna di esse. Tolto il paio di cover già citate, il disco è cantato completamente in italiano, un italiano molto curato e "pensato", votato ad un'indignazione sociale ed etica che era più che lecito aspettarsi visti titoli come "Furia Procace" e "Avvezzamento Ciclico".
"In crisi d'astinenza da dose di demenza / tacita ottemperanza ad una vita d'obbedienza... atta alla distrazione di massa dal reale / atta alla distruzione di massa cerebrale" ("TV-TaraVolontà"), frasi che lasciano poco spazio all'interpretazione.
D'altronde si tratta pur sempre di grindcore, genere in cui l'ironia la fa da padrona, quindi non poteva mancare il citazionismo sottile e tutto italiano di un brano come "Un Nuovo Taglio", della durata di pochi secondi; nient'altro che un estratto di un capolavoro del cinema nazionale (...) anno 1978: un semplice "Barba o capelli?" cui il buon Giorgioni risponde urlando "OSVALDO!". Sì, è proprio "Lo Chiamavano Bulldozer".
Potrei perdermi a parlare brano per brano della carne messa sul fuoco dagli Tsubo, da Kenshiro a Bud Spencer, ma preferisco fermarvi qui e dirvi, molto semplicemente, di comprare questo disco, ora che avete cognizione di causa.

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TO-MERA - Exile


Informazioni
Gruppo: To-Mera
Titolo: Exile
Anno: 2012
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Illusionary Records
Contatti: facebook.com/pages/To-Mera/8008986142
Autore: Mourning

Tracklist
1. Inviting The Storm
2. The Illusionist
3. The Descent
4. Deep Inside
5. Broken
6. End Game
7. Surrender
8. All I Am

DURATA: 01:05:00

I britannici To-Mera sono una di quelle band da tenere d'occhio con costanza, la formazione progressive che vede la bella e brava Julie Kiss (ex Without Face) dietro al microfono, in compagnia di membri di Haken (altra compagine prog di ottima fattura), Pythia ed ex dei De Profundis ha confezionato sinora delle produzioni alquanto ben fatte.
Se i primi due album "Transcendental" e "Delusions" facevano segnalare una crescita e una maturazione del sound costante, il terzo rilasciato nel 2012 e intitolato "Exile" è quello che potremmo definire il disco della definitiva consacrazione.
Già, la prova numero tre, l'esame della maturità è stato sostenuto e superato a pieni voti, il quintetto è in ottimo stato di salute, ha dato alle stampe un album che dura più di un'ora e del quale non si subisce mai il peso, si ha a che fare infatti con pezzi che si estendono per oltre dieci minuti e dei quali si desidera averne ancora una volta conclusi.
Si tratta perciò di un sintomo che gli ingranaggi girano correttamente, con tecnica, emozioni e atmosfere che si suddividono lo spazio in parti eguali, tant'è che anche nei momenti inclini a fraseggi più complessi si percepisce come e quanto la strumentazione o il cantato si pongano al servizio l'uno dell'altro, caratteristica che distingue una realtà di valore da una che sa solo suonare e infilare scale e riff complicatissimi senza arrivare da nessuna parte.
I To-Mera invece interpretano, vivono le note e questa sensazione giunge in maniera cristallina non solo all'orecchio.
Come inquadrare "Exile"? Bisogna sedersi e permettere al lavoro di scorrere nelle proprie vene per numerose sessioni d'ascolto, incrocerete difatti una quantità innumerevole di variazioni e influenze, alcune riconoscibilissime come Porcupine Tree, Evergrey, Dream Theater e Meshuggah, altre che verranno fuori a istinto personale, a esempio nei frangenti in cui il pathos è più elevato anche i Symphony X di Romeo si potrebbero inserire.
Quello che conta però è che per quanto si possano ricondurre a nomi noti, non ne sono "seguaci", la personalità compositiva è spiccata, si resta spiazzati in una "The Illusionist" che vibra grazie a suoni metallici che concedono libertà d'ingresso a partiture funky e jazz, ammaliati dalla sensazione di quiete e tempesta presenti in "Descent", delicata al pari di una carezza ma altrettanto sfuggente e impetuosa maniera similare a un temporale estivo, potreste soffrire di mal di mare interagendo con lo sbilenco e scostante incedere di "Broken", sempre pronta a mutare in in corsa; anche la preparazione alla fase solistica, con le percussioni e la chitarra acustica che da sobrie si elettrizzano sino a sfociare nel fluente assolo di Tom, è una goduria e che dire di "Endgame"? Bel rompicapo, è la traccia più complessa, dura da assimilare, non dico che uno debba soffermarcisi sopra su fino ad addormentarsi sfinito, tuttavia è una botta "stravagante" e mi vien da chiedermi di cosa si sia fatto il tastierista Richard Henshall dato che il suo operato all'interno del brano è, come definirlo, uhm, sclerotico? Intendiamoci, ci sta alla grande ma la linearità nella sua esecuzione in certi attimi pare sia stata letteralmente bandita dalla scena.
Sei episodi son volati via, tranne un po' di mestiere e un po' di voglia di strafare, il primo in "Inviting The Storm", la seconda in "Deep Inside", i To-Mera mi stanno smantellando il cervello in un modo che gradisco particolarmente, inoltre le incursioni in blastato e il growl "accidentale" hanno avuto la loro importanza in quanto sinora esposto, mentre forse la voce di Julie avrebbe meritato più supporto da quella in growl, ciò nonostante non c'è molto di cui potersi lamentare, proseguiamo con "Surrender".
L'apertura della canzone è sognante, la chitarra acustica è leggiadra, morbida, cosa ci attenderà? Agli inglesi le montagne russe sonore piacciano e questo è un dato di fatto confermato pure in quest'occasione, l'atmosfera da "Through The Looking Glass" dei Symphony X viene però interrotta da una sezione latineggiante totalmente inattesa e poi... pensavate bastasse così poco per fermare le operazioni in corso? Spingono, spingono e spingono ancora lasciando all'organo, verosimilmente impersonato dai synth, e a un drumming impulsivo e discontinuo i due minuti conclusivi che ci conducono a "All I Am", che rilassa e accompagna con finezza e grazia sino allo spegnersi di "Exile"; probabilmente il minutaggio in questo specifico caso è eccessivo, dodici minuti sono un po' troppi, si rimane comunque su livelli ben superiori alla media e soddisfatti dall'ennesima prova di qualità.
Si poteva pretendere di più da loro? Forse, le doti in possesso dei To-Mera sono notevoli e sarebbe ingiusto non dire che il capolavoro è stato sfiorato, sarebbe altrettanto ingiusto negare che "Exile" rende sempre di più sulla lunga distanza, riteniamolo la prova generale a quel disco che avrà la "C" maiuscola stampata sopra, o almeno auguriamoci di poter assistere a tale evento.
I detrattori potranno cercare il cosiddetto pelo nell'uovo indicando la voce di Julie (un po' Anneke, un po' Amy Lee) come uno degli ostacoli per l'ascolto, affermazione che ritenere stupida sarebbe un complimento, l'unica cosa richiesta per apprezzare la musica dei To-Mera è di scrollarsi di dosso i pregiudizi e le perplessità, affidandovi al buon senso e soprattutto a un attento e accurato approfondimento di ciò che sono in grado di offrirvi.
Per il resto le chiacchiere stanno a zero oppure potrete ripiegare la vostra attenzione sull'ennesimo scarto dei Dream Theater che potrebbe farvi felici, contenti voi, beh, contenti voi, Paolo Bitta docet.

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A BAND OF ORCS - Adding Heads To The Pile


Informazioni
Gruppo: A Band Of Orcs
Titolo: Adding Heads To The Pile
Anno: 2012
Provenienza: Santa Cruz, California, USA
Etichetta: Autoprodotto / Grimpire
Contatti: abandoforcs.com
Autore: Bosj

Tracklist
1. Prepare For Domination
2. When The Hills Run Red
3. In The Keeper's Chamber
4. Of Broken Chains And Shattered Skulls
5. Wyrd Of The Winter Wolf
6. The Darkness That Comes Before
7. Hall Of The Frozen Dead
8. Lair Of The Ice Wyrm
9. Stormbringer
10. At The Mouth Of Fire
11. Fall Of The Fire Lord
12. Adding Heads To The Pile
13. A Deeper Evil

DURATA: 66:21

Era ora. Dopo tutto il trambusto mediatico durato anni, era davvero ora che i Band Of Orcs si decidessero a mettere sul piatto qualcosa, dopo l'ep del 2007. Un paio di singoli in cinque anni non erano sufficienti a giustificare interventi giornalieri sulla rete, migliaia di "like" su Facebook e via discorrendo. Finalmente, da ottobre, si può parlare degli orchi californiani con cognizione di causa.
"Adding Heads To The Pile" contiene tutti i brani scritti dalla band nell'ultimo lustro, ivi compresi i singoli di cui sopra. Tredici tracce per la più che massiccia durata di oltre un'ora, tutte sulle stesse coordinate: death/thrash groovy e tamarro, nel senso più pregnante del termine.
Tralasciando il simpatico lore cui la band della west coast ha evidentemente dedicato del tempo (il booklet è impreziosito da una mappa che riporta, lungo un percorso, tutti i titoli delle canzoni, che assumono il significato di tappe di un viaggio nel "Realm Of Ice"), diciamo subito che l'album mantiene le promesse che le precedenti produzioni minori avevano contribuito a creare: gli Orchi in questione sono dei professionisti, conoscono il mestiere e sanno come si scrive della buona musica.
Magari non sanno come realizzare un packaging, visto che il digipak in cartoncino e il libretto sono quanto di più artigianale mi sia capitato di vedere ultimamente e la cosa è un gran peccato, date le numerose illustrazioni e il lavoro alle spalle di queste, ma sicuramente sono in grado di creare brani di forte impatto; d'altronde stiamo parlando di bestie dedite alla razzia e al saccheggio, e questa si chiama coerenza di fondo. O forse, più semplicemente, la mia copia promozionale è diversa dalle altre, non ho modo però di verificarlo.
La presenza di Juan Urteaga (sì, proprio l'ex cantante dei Vile, che sull'ep figurava come vocalist e ora, uscito dalla band, si è occupato del lavoro di registrazione) produttore ed ingegnere del suono più che affermato, non è poi un vantaggio da dimenticare: i tredici brani godono di un trattamento assolutamente sopra le righe. Suoni, volumi e mixaggio, di cui si è occupato, sono semplicemente ottimi, corposi, moderni eppure del tutto distanti dai tanto comuni e detestati lavori "di plastica".
Il disco è discretamente vario, con un interludio ("The Darkness...") e un'outro di oltre sette minuti solo strumentali, mentre la maggior parte delle restanti composizioni si aggira intorno ai cinque minuti. All'interno di questi, Gogog, Oog, Hulg, Gronk e Cretos si attestano generalmente su mid-tempo portanti da cui spesso e volentieri scaturiscono grandi e furiose cavalcate di conquista: ovviamente la preoccupazione prima degli Orchi è quella di conquistare il mondo degli Uomini. Il primo passo? La creazione della Grimpire, etichetta "propria" che si prefigge di supportare lo S.C.U.M. (Santa Cruz Underground Metal, festival derivante dalla stessa etichetta). Il secondo passo? Staccarvi la testa e aggiungerla al mucchio.
Hail Gzoroth!

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KINGBATHMAT - Truth Button

Informazioni
Gruppo: KingBathmat
Titolo: Truth Button
Anno: 2013
Provenienza: Inghilterra
Etichetta: Stereohead Records
Contatti: facebook.com/kingbathmat
Autore: Mourning

Tracklist
1. Behind The Wall
2. Abintra
3. Book Of Faces
4. The End Of Evolution
5. Dives And Pauper
6. Coming To Terms With Mortality In The Face Of Insurmountable Odds

DURATA: 50:36

I KingBathmath a quanto pare sono in giro da un po' di tempo, la formazione britannica infatti ha sin qui prodotto ben cinque lavori: "Son Of A Nun" (2003), "Crowning Glory" (2004), "Fantastic Freak Show Carnival" (2005), "Blue Sea, Black Heart" (2008), "Gravity Field" (2009) e il sesto è questo "Truth Button" del quale sto per scrivere.
La formazione ad oggi è costituita dal membro fondatore John Bassett (basso, voce e composizione dei pezzi), Lee Sulsh (chitarra), David Georgiou (tastiere) e Bernie Smirnoff (batteria). Per abbracciare la loro proposta è fondamentale conoscere un concetto:

KingBathmat are not beholding to a multi-national corporation, a debt, or a self proposed obligation. They do what they want.

Il pensiero è semplice, saprà anche un po' di cliché ma è coerente con ciò che troverete all'interno del disco, infatti la natura dei sei pezzi di questo concept album è alquanto diversificata e valica con costanza il muro delle influenze dal quale traggono ispirazione, muro che si rivela essere adornato dalle raffigurazioni di artisti famosi come Pink Floyd, Black Sabbath, Genesis, Beach Boys, Marillion, Yes, Spock's Beard, Foo Fighters e chissà quanti altri ve ne potranno venire in mente.
Tutti quanti vengono omaggiati eppure non copiati, il sound e l'esposizione conferiti ai singoli episodi evidenziano una capacità di strutturare e alternare fasi atmosferiche limpide, cicli psichedelici e l'animosità del rock più sanguigno senza che vi sia quel retrogusto amaro da dejà-vu forzato che spesso e volentieri ci tocca, quasi costretti molte volte, a dover assaporare durante un ascolto così sfaccettato.
"Truth Button" affronta un tema ormai non più appannaggio della sola fantasia: la tecnofobia e la relativa disconnessione sociale.
È una realtà di fatto che la vita dietro uno schermo sia più "facile" da affrontare rispetto alla quotidianità e questo "pulsante della verità" userebbe l'evoluzione tecnologica per far sì che la stessa verità, ciò che in fin dei conti dovrebbe essere presa come una rivelazione ideale a rendere la comunicazione più agevole, si tramuti in un mezzo conduttore di confusione e sbandamento, entrambi ottimi agenti al servizio di un ulteriore e più profondo asservimento emotivo, una liberazione che induce alla costrizione, è un bel paradosso.
Un altro paradosso, se così lo possiamo considerare, è l'analisi di un argomento simile sfruttando però una musicalità distante anni luce da qualsiasi forma di strumentalizzazione robotica e industriale, quello che pulsa nelle vene dei KingBathmath è un amore viscerale per il rock, che si espande tanto da coprire una gamma di suoni e sensazioni che vi permetteranno di compiere un viaggio in più circostanze rivolto al passato.
Sembra quasi che vi sia una strana interpretazione dickensiana, tanto per rimanere in terra d'Albione, nel mettere al corrente l'ascoltatore di tale possibile scenario.
Un po' come avviene per la coscienza del personaggio Ebenezer Scrooge, costretto ad affrontare gli spiriti del Natale passato, presente e futuro in "A Christmas Carol", canzoni come "Behind The Wall", "The End Of Evolution" e "Coming To Terms With Mortality In The Face Of Insurmountable Odds" fanno riflettere su quanto e come ci si possa opporre a una simile deumanizzazione, partendo proprio dai passi precedenti a ciò che avverrà.
Incubo o sogno? Cos'è allora questo "Truth Button"? In parte entrambi, starà a voi comprendere quale delle due visioni si addica al vostro stato d'animo o alle previsioni per un futuro sempre più incerto e dissestato dallo smodato contatto fra uomo e macchina.
Quello che i KingBathmath fanno non è altro che darvi l'accesso a tale "twilight zone" tramite la loro musica, siete pronti ad accettarne l'invito?

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ENDLESS VOID - Apparitions

Informazioni
Gruppo: Endless Void
Titolo: Apparitions
Anno: 2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: Imradio.com
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. R.I.P. / March Of The Dead
2. Spiritualistic Medium
3. Bereaved
4. Apparitions And The Undertaker

DURATA: 20:30

Siamo stati ormai ben abituati a veder fiorire un'enormità di one man band all'interno del panorama Metal e la stragrande maggioranza di esse risiede nella cerchia stilistica appartenente al Black Metal, mentre, al contrario, parlando di Doom e Heavy, ci si approccia di solito a gruppi veri e propri, formati quindi da almeno tre elementi.
Questa volta siamo invece di fronte al progetto Endless Void, creatura completamente gestita dal solo musicista James Owen e che ha dato vita nel 2012 alla seconda prova rilasciata sotto tale monicker, l'EP "Apparitions".
Per chiunque abbia una certa dimestichezza con i frangenti più classici del nostro amato genere non sarà di certo difficile circoscrivere il campo di azione di Endless Void ad un riferimento temporale ben preciso: "R.I.P./March Of The Dead" e "Apparitions And The Undertaker" affondano infatti le proprie radici in una corrente settantiana che faceva capo a gente come Pentagram (in particolare nel primo pezzo citato l'inflessione vocale sarà semplice da ricondurre alle tipiche esibizioni di Bobby Liebling), Bedemon e Saint Vitus, adornandosi altresì di un certo sapore proveniente dal Regno Unito degli albori della decade ottantiana incarnatosi nella NWOBHM oscura di gruppi del calibro di Witchfinder General, Cloven Hoof, Grim Reaper e Angel Witch.
"Spiritualistic Medium" è invece un episodio particolarmente incline all'accostamento con i Black Sabbath (credo che più o meno tutti sentiranno rimbombare tra le pareti craniche la celebre "Sabbath Bloody Sabbath"), anche se, esattamente come succede pure in "Bereaved", l'approccio utilizzato è in maggior misura orientabile verso un Hard Rock che porta impresso a fuoco il marchio seventies, comunque senza rinunciare nemmeno in questo caso ad una robustezza imputabile senza dubbio al retaggio dell'Heavy di estrazione classica.
"Apparitions" è un EP autoprodotto che contiene appena venti minuti di musica, ma che comunque non sarà difficile da apprezzare per chiunque sia un nostalgico e/o fedele fruitore del Metal tradizionale.
Non ci rimane che attendere l'auspicabile uscita di una prova full nei tempi futuri e, nel frattempo, goderci una breve ma piacevole immersione in quel calderone musicale che, ahimè, troppo spesso viene bistrattato dalle ultime generazioni di metallici uditori.
Thumbs up, Mr. Owen!

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BUCKETS OF FAITH - Fate Preset


Informazioni
Gruppo: Buckets Of Faith
Titolo: Fate Preset
Anno: 2012
Provenienza: Finlandia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/BucketsOfFaith
Autore: Mourning

Tracklist
1. The Calmness
2. Never Speak Again
3. Project Mayhem
4. Yesterday's Perfection
5. The Depths Of Apathy
6. The Worst Side

DURATA: 23:36

Antti Karvonen è un giovane musicista finlandese che nel 2009 ha deciso d'intraprendere la strada del progetto solista per dar vita alla sua proposta.
I Buckets Of Faith producono un death metal dall'appeal melodico, che non disdegna scariche adrenaliniche in velocità, al quale di tanto in tanto piace inabissarsi anche in territorio doom e che possiede il carattere e la forma tipici della propria nazione, questo è ciò che troverete nei lavori sinora sfornati, l'ultimo in ordine di tempo è l'ep "Fate Preset".
Non vi citerò grandi band a riferimento, noterete da soli le somiglianze e i possibili richiami ad altre realtà in alcuni frangenti evidentissimi, quello che mi preme davvero è sottolineare il buon operato svolto da Antti.
Il ragazzo si barcamena con mezzi limitati offrendo una più che onesta prova del genere sia dal punto di vista compositivo, grazie all'intensità e all'impatto del riffing anche negli aspetti emotivo-malinconici, che nell'ambito di una produzione imperfetta ma tutt'altro che scadente o lo-fi; il basso avrebbe potuto avere un'altra risonanza e uno spazio più ampio, mentre il suono della batteria è un po' smorto.
È una creatura ancora allo stato larvale quella dei Buckets Of Faith, sono piacevoli l'intro strumentale "The Calmness" e il tocco femminile della voce di Ida Smolander in "The Depths Of Apathy", è però quando ci va giù pesante e diretto come avviene in "Never Speak Again" e nella conclusiva "The Worst Side" (quest'ultima è una mattonata dall'aura doomish) che Antti raccoglie i frutti del suo lavoro, mostrando di poter avere margini di miglioramento interessanti nel prossimo futuro, oltre a un growl apprezzabilissimo.
Quali saranno i risvolti futuri del progetto? Non ci resta che attendere del nuovo materiale per avere un riscontro, per ora rimando coloro i quali volessero ascoltare le uscite sinora rilasciate alla pagina Bandcamp, teniamolo d'occhio.

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TRIARII - Muse In Arms


Informazioni
Gruppo: Triarii
Titolo: Muse In Arms
Anno: 2008
Provenienza: Germania
Etichetta: Eternal Soul
Contatti: triarii.de
Autore: Istrice

Tracklist
1. Birth Of A Sun
2. Muse In Arms
3. Europa
4. Les Extrêmes Se Touchent
5. Fatalist
6. Legio I Martia
7. Sonnenwalzer
8. Ode To The Sun
9. Muse In Arms II
10. The Final Legion
11. Wir Kommen Wieder

DURATA: 50:45

Le scimmie musicali vanno e vengono. Questo è un periodo così, in cui, fra una recensione e l'altra e qualche casuale scambio di battute, m'è tornata una gran voglia di invadere la Polonia, di belligerare, di guerra. "M1, ascoltati i Triarii, così ti fai un'idea del genere", e mi ritrovo ancora una volta ad ascoltarli io, i Triarii, in heavy rotation manco fossi un invasato guerrafondaio, tanto da spingermi a scrivere queste quindici righe.
E se voi mi urlate, a ragion veduta, dalla distanza "e sticazzi?", da parte mia posso ribattere che se c'è un disco, uno solo, di tutta la scena martial che merita di essere conosciuto dal più vasto pubblico possibile, questo è "Muse In Arms".
Perchè lasciando da parte necessariamente le implicazioni ideologiche, più o meno condivisibili, ed il messaggio portato avanti da Christian Erdmann, mente creatrice dietro al progetto, non essendo questa la sede appropriata per discuterne, musicalmente parlando "Muse In Arms" è una delle opere più epiche ed intense che io abbia mai incontrato, un disco che a qualche livello non può non scuotere interiormente chi vi si avvicina.
Sono suoni di battaglia quelli che accolgono l'ascoltatore, immergendolo fin da subito in un clima cupo e claustrofobico, le mitragliatrici fan fuoco, esplodono bombe. Cinque minuti di conflitto portano alla vera apertura del disco, è la nascita di un sole sul campo di battaglia, la tensione si allenta, s'alzano cori wagneriani, mentre le percussioni scandiscono un ritmo potente.
È evidente fin da subito la distanza che separa il martial dei Triarii da quello più cupo e di derivazione dark ambient generalmente proposto da altri autori altrettanto in vista, una distanza aumentata di volta in volta con le precedenti release dei Triarii stessi, sempre alla ricerca della massima magniloquenza e pomposità.
Ne è esempio perfetto la traccia successiva, la titletrack nella fattispecie, in cui un violino pennella una meravigliosa linea melodica su cui vanno ad incastonarsi tamburi e trombe, creando una marcia di vittoria che conduce simbolicamente ad "Europa". Il brano, diventato ormai simbolo del progetto, si manifesta con ritmiche più incalzanti su cui Erdmann scandisce sobrie strofe costituenti una vera e propria elegia all'Europa, un canto d'amore romantico per un continente in declino, nella speranza di un futuro (dal punto di vista dell'autore) migliore.
Il cd procede senza mai calare di livello fra marce serrate ed inserti degni delle più epiche colonne sonore da colossal cinematografico, una perla dopo l'altra. "Fatalist" è un brano letteralmente da panico, in cui le campane lasciano il passo ai rullanti, e l'incisiva melodia viene interrotta per lasciar spazio al discorso di un qualche gerarca tedesco, mentre "Sonnenwalzer" col suo tempo terzinato (e non poteva essere altrimenti "il valzer del sole") ed il suo gusto retrò fa viaggiare nel tempo l'uditorio, fino a tempi in cui la potenza europea, pur nella sua frammentazione statale, non aveva rivali al mondo.
Nel corso della perigliosa battaglia c'è poi di nuovo spazio per alcuni momenti più ariosi ed atmosferici, "Muse In Arms II" arriva a placare gli animi, del tutto simile per struttura ed idea di fondo alla sua gemella precedente, ma diversa per linea melodica portante, facendo al tempo stesso le veci di introduzione all'enorme "The Final Legion", brano in cui tutta l'epicità ancora residua nella mente di Erdmann viene concentrata in quattro note in croce, ma quattro note talmente pregne di pathos e tensione estetica da far vacillare, arricchite da una cupola di cori dalle tinte gotiche.
Un disco completissimo, vario, di quelli che se fosse metal definiremmo "spesso così", indicando da una parete all'altra, drammaticamente coinvolgente, tanto da poter far alzare pericolosamente il braccio sbagliato anche al bolscevico più ferreo e convinto.

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SCORNAGE - ReaFEARance


Informazioni
Gruppo: Scornage
Titolo: ReaFEARance
Anno: 2012
Provenienza: Germania
Etichetta: Massacre Records
Contatti: facebook.com/Scornage
Autore: Mourning

Tracklist
1. Six Minutes To Fear
2. At First I Hate
3. Frozen Throne
4. We Bury Our Dead Alive
5. Face The Blade
6. Fury
7. In A Cage
8. Coming Back
9. The Holy Rape
10. Stabbed Again

DURATA: 49:45

La Germania è una delle patrie storiche del thrash e di gruppi venuti fuori da lì ve ne sono a migliaia, alcuni chissà per quale motivo rimangono insabbiati anche nei periodi in cui non vi sono lavori che si possano definire nuovi capisaldi del genere, tra i nomi che sfortunatamente sinora hanno avuto poca risonanza vi è anche quello degli Scornage.
La formazione è in giro dal 1998, ha sempre prodotto dei lavori onestissimi dotati di più che una discreta carica e, pur muovendosi in direzione "moderna" per alcuni appigli utilizzati in ambito groove e nello sviluppo del riffing, non si è mai concessa vere soluzioni che fuoriuscissero da una concezione dello stile eseguito con una forte componente old school, forse proprio questo rimanere in bilico li ha un po' penalizzati.
Fatto sta che il 2012 ci consegna un quarto capitolo, "ReaFEARance", che attesta senza dubbi che nel loro essere operai i tedeschi non sbagliano un disco.
La prestazione è energica, mai esageratamente veloce ma in alcuni tratti furiosa e coinvolgente, il riffato di Volker "Arry" Rahn e Tom Bronnenberg affetta l'aria, le asce svolgono il compito assegnato senza cali evidenti ed evitando una riproposizione ortodossa dello stile, è difficile trovare comunque una pecca vera e propria nell'operato di questi musicisti.
La sezione ritmica di Markus Breuer e Tom Freyer, rispettivamente bassista e batterista del combo, avrebbe potuto essere più varia, alle volte risulta forse sin troppo quadrata ma è anche vero che così facendo fornisce quella solidità ai brani che in più di una circostanza assomigliano a manate in pieno volto.
L'uomo che aggiunge un pizzico di pepe alla prova è il cantante Guido Grawe, la sua abilità nell'impostare il growl e lo scream, alternandoli in maniera efficace e prestante all'interno dei pezzi, favorisce la resa dinamica, cosa che potrete notare nell'opener "Six Minute To Fear" introdotta dal singer proprio tramite l'utilizzo di entrambi gli stili vocali.
I musicisti spingono e martellano se devono e quanto devono, mostrano un'ottima coesione in "We Bury Our Dead Alive" scandita da delle buone scariche sul rullante e impreziosita da un solo nella fase centrale che ne aumenta il valore scapocciante, si fa apprezzare il guitarworking di "At First I Hate" e della scatenata "Fury" infilando sul finale un trittico che vede succedersi "Coming Back", "The Holy Rape" e "Stabbed Again" devastanti non solo per il drumming di Tom, è ancora una volta l'affiatamento della line-up ad apportare ai brani quella sostanza che ci vuole per colpire il bersaglio.
Quello che fa di "ReaFEARance" un buon album e non un ottimo album è il livello del complesso, che rimane ancorato a una valutazione ben superiore alla canonica sufficienza, mancando però di quelle canzoni, o comunque di quei riff, che ti si piantano in testa a vita, ciò che fa la reale differenza.
Gli Scornage sono un porto sicuro per gli amanti del thrash, mi ritengo sempre soddisfatto dopo l'ascolto di un disco simile, perché nella sua "normalità" dimostra quanto per comporre del thrash come si deve, non bastano un'attitudine di cartone e una iper produzione che teoricamente dovrebbero essere utili a salvare il culo di troppi neo-thrasher, ci vogliono passione, conoscenza reale di questo mondo e... passione l'ho già scritto? Va bene, rincaro la dose e intanto rimetto su "ReaFEARance".

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MINKIONS - Distorted Pictures From Distorted Reality


Informazioni
Gruppo: Minkions
Titolo: Distorted Pictures From Distorted Reality
Anno: 2012
Provenienza: Padova, Veneto, Italia
Etichetta: F.O.A.D. Records
Contatti: facebook.com/pages/Minkions/162130257177013
Autore: Bosj

Tracklist:
1. Present Slavery
2. Dead... Not Yet
3. Social Drome
4. Demon's Within
5. Distorted Pictures From Distorted Reality
6. Ego Of A Shadow
7. Sunday Sucks
8. Pavlov's Dog
9. Third Millennium Fascist Pig
10. Choosing Madness

DURATA: 26:56

Tu-tu-tu-tu-tupa-tupa-tupa-tupa-tupa-tupa. Moltiplicatelo per la durata del disco, e date il benvenuto ai Minkions. La band padovana, non dovesse capirsi da titoli come "Third Millennium Fascist Pig", o dall'etichetta da cui è edita, la F.O.A.D., o dalla militanza nelle proprie fila di un membro dei Children Of Technology (Thrashard, qui alla voce, nei CoT al basso), o ancora dall'artwork che pare lontano cugino di "Martha Splatterhead's Maddest Stories Ever Told" (con tanto di "simil-dieresi" sopra la "i", fate vobis), si dedica allo sfascio più totale della società civile tramite un hardcore/thrash/punk di derivazione totalmente USA. Accüsed, Stormtroopers Of Death, Suicidal Tendencies, D.R.I., e non serve che vada avanti.
Tuttavia, sarebbe sbagliato pensare a un disco fuori dal tempo: "Distorted Pictures..." prende il verbo ottantiano e lo trasporta ai giorni nostri senza grosse difficoltà, forte di una produzione ottima, del cantato personale di Thrashard, che ricorda vagamente l'operato di Blaine Cook con la sua attuale band, i Denial Fiend, e di un songwriting che in meno di mezz'ora riesce a presentarsi abbastanza (sottolineo, abbastanza, ma non di più, altrimenti ne verrebbe snaturata l'essenza stessa, che rimane tupa-tupa) variegato. Variegato, chiaramente, in queste situazioni significa un cambio di tempo qua ("Sunday Sucks") e un passaggio acustico là, con tanto di bridge heavy ("Choosing Madness"), tanto per gradire, ma senza mai deviare dalla rotta prestabilita. Il che, comunque, vuol dire aderire ad un credo che ha trovato la propria completezza e la propria massima espressione più di trent'anni fa.
Questo detto, il discorso potrebbe essere esaurito, non fosse che io sono particolarmente petulante e torno a battere su un punto, come già tante volte ho fatto: perchè scrivere testi in inglese, se poi li si riempie di strafalcioni in ingles-iano? Non smetterò mai di perorare la causa della propria lingua madre, se il passaggio ad un altro idioma rischia di (e spesso finisce col) comportare errori, anche grossolani.
Per qualsiasi altro aspetto, qualsiasi altro dettaglio e qualsiasi altro elemento, "Distorted Pictures From Distorted Reality" vi farà divertire, scapocciare e saltellare a destra e a manca alla massima velocità, ma più a manca che non a destra, beninteso. Ammesso che si sia in cerca di determinati suoni e, soprattutto, di una determinata forma mentis, di tre decenni addietro, promossi a pieni voti.

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BLEND71 - Inside Your Cage

Informazioni
Gruppo: Blend71
Titolo: Inside Your Cage
Anno: 2012
Provenienza: Svizzera
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/BLEND71/118418440692
Autore: Mourning

Tracklist
1. Inside Your Cage
2. Walk Around The Clock
3. Suicide
4. Don't Talk About
5. Suicidal Tendencies
6. Ethiopia
7. Lick Your Own Wounds
8. Break The Spell
9. Never Back Down
10. Rose

DURATA: 39:23

Sono passati più di un paio d'anni da quando il gruppo svizzero dei Blend71 diede alle stampe il debutto "Signs", troverete la recensione dell'album e l'intervista con la cantante Ciny inserite nei listoni, è giunto dunque il momento di partorirne il successore, l'anno 2012 è quello giusto, il disco è stato rilasciato nel periodo estivo ed è stato intitolato "Inside Your Cage".
La formazione è volutamente rimasta incastrata in quel panorama che si divide fra alternative metal, crossover e nu metal, alcuni potrebbero asserire che tali diciture identifichino realtà uguali, punto di vista decisamente errato e che spesso porta a giudicare questi dischi in maniera poco obbiettiva e trattandoli superficialmente.
Per quanto la voce femminile riporti a molti alla mente nomi come Lacuna Coil ed Evanesce decisamente presenti nel primo album, la virata compiuta dai Blend71 è diretta in una direzione che riconduce al periodo iniziale del movimento Crossover/Nu, i primi anni successivi all'uscita di "Follow The Leader" dei Korn per intenderci, e ascoltando pezzi come "Suicide" e "Walk Around The Clock" oltre a Jonathan Davis e soci, act quali Rage Against The Machine e Drowning Pool, di quel gran personaggio che era Dave Williams, fanno sentire la propria presenza nel sound.
Si arriva poi a "Lick Your Own Wounds" e si aggiunge alla combriccola di monicker noti anche quello dei Disturbed, derivativi? Come detto anche al tempo di "Signs" è difficile in questo genere più di altri non esserlo, le soluzioni e l'impostazione delle canzoni seguono schematiche che non hanno uno spazio infinito nel quale muoversi.
Sostanzialmente ciò che si nota è un appesantimento generale della proposta che però si concede ad attimi non propriamente a tinte metallizzate nelle prove più intime come "Ethiopia" e "Rose".
Con quest'ultimo brano che si distacca dalle ritmiche e dall'esposizione sinora offerta affondando in minima parte nel metal/rock e alimentandosi tramite uno scenario jazzato-cantautorale gli inserimenti dell'organo Hammond suonato da Frank Salis, della tromba di Jalalu Kalvert Nelson e della voce maschile di Jonathan Braun la particolareggiano, esperimento interessante anche se non perfettamente riuscito, è un po' carente di pathos nelle parti recitate.
"Inside Your Cage" è un deciso passo in avanti, la produzione ancora una volta affidata a Ste Scenini e svoltasi agli Stairway Studio sorregge meglio il complesso strumentale, qualche pecca ma nulla di necessariamente gambizzante la si riscontra nella prestazione di Ciny, molto più efficace e convincente quando s'impone sul pezzo.
L'esempio più adatto ci viene fornito da "Break The Spell", quello che potrebbe essere un papabile singolo radiofonico, e "Never Back Down" nelle quali le due facce del cantato sono pienamente rappresentate, il ritornello della seconda pur mantenendosi orecchiabile risulta più incisivo di quella forma ossessiva racchiusa nel capitolo che la precede.
I Blend71 stanno crescendo, probabilmente hanno le idee più chiare e sono maggiormente consci del proprio potenziale, "Inside Your Cage" seppur non perfetto è apprezzabile, coloro che al tempo si dedicarono all'ascolto di "Signs" dovrebbero fare altrettanto con questo nuovo lavoro, concedetevi di trascorrere una porzione della vostra giornata in loro compagnia.

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SEPULTURA - Blood-Rooted


Informazioni
Gruppo: Sepultura
Titolo: Blood-Rooted
Anno: 1997
Provenienza: Brasile
Etichetta: Roadrunner Records
Contatti: sepultura.uol.com.br - facebook.com/Sepultura
Autore: M1

Tracklist
1. Procreation (Of The Wicked) [cover Celtic Frost]
2. Inhuman Nature [cover Final Conflict]
3. Polícia [cover Titãs]
4. War [cover Bob Marley]
5. Crucificados Pelo Sistema [cover Ratos De Porão]
6. Symptom Of The Universe [cover Black Sabbath]
7. Mine [feat. Mike Patton]
8. Lookaway [Master Vibe mix]
9. Dusted [versione demo]
10. Roots Bloody Roots [versione demo]
11. Drug Me [cover Dead Kennedys]
12. Refuse / Resist [live]
13. Slave New World [live]
14. Propaganda [live]
15. Beneath The Remains / Escape To The Void [live]
16. Kaiowas [live]
17. Clenched Fist [live]
18. Biotech Is Godzilla [live]

DURATA: 64:50

Esistono diversi modi per spillare soldi ai fan o ad acquirenti sprovveduti, certamente nel 1997 era ancora più facile farlo, poiché i dischi si vendevano in quantità e Internet non era così diffuso né per ottenere file musicali né per informarsi sulle nuove uscite. Per i Sepultura si tratta del primo anno dopo l'abbandono di Max Cavalera, così la Roadrunner decide di cavalcare questo cavallo vincente e di razza con una "bella" compilation ricca (!) di cover, pezzi dal vivo e altre testimonianze di registrazioni passate. Insomma il classico polpettone buono per ogni neofita, ma succulento anche per gli sfegatati, come dovrebbe fare capire il "bollino" stampato in copertina che recita "over an hour of live and rare material". Andiamo ora a vedere perché questa frase non corrisponde alla verità.

Agli occhi di un metallaro del ventesimo secolo "Blood-Rooted" comunque lo si guardasse era un'uscita monca: considerandolo un "best of", mancava di troppi classici come "Dead Embryonic Cells", "Arise" ed "Escape To The Void" tanto per citarne alcuni, specie perché dei diciotto pezzi in scaletta ben sette non sono opera di Andreas Kisser e soci. La mezza dozzina di tracce dal vivo era poca cosa paragonata agli allora sei album incisi, mentre le versioni demo di "Dusted" e "Roots Bloody Roots" non costituivano in alcun modo una chicca, così come il diverso missaggio offerto da DJ Lethal (sigh!) a "Lookaway" o "Mine", pezzo appena discreto realizzato in collaborazione con Mile Patton, che vive di una rabbia insana che esplode dopo essere stata confinata dentro a barriere claustofobiche. Infine nemmeno le sei cover avrebbero potuto salvare la situazione, per quanto risultasse "esotico" leggere che "War" fu incisa nel lontano 1976 da Bob Marley (gli autori sono Colin Eric Allen e Carleton Barrett dei The Wailers). Personalmente nessuna di queste mi ha esaltato particolarmente, la mia preferita resta comunque la scheggia hardcore "Crucificados Pelo Sistema" opera dei Ratos De Porão, al contrario "Procreation (Of The Wicked)" è eccessivamente quadrata.

Ora torniamo al 2013 e concentriamoci sulle canzoni registrate nel marzo del 1994 a Minneapolis. Se nel periodo di uscita di "Blood-Rooted" non esistevano testimonianze live complete e professionali su cd o musicassetta — custodisco ancora gelosamente una tape ereditata dalla collezione di mio padre intitolata "Boys From Brazil" e registrata come bootleg nel 1991 a Lille, in Francia — dal 2002 chi volesse ascoltare i VERI Sepultura in questa veste può optare per il doppio album e le quasi due ore di "Under A Pale Grey Sky". Ergo, questi otto brani non sono di certo imprescindibili, anzi.

Aggiungete a quanto scritto che nelle varie ristampe del catalogo dei Sepultura sono presenti qua e là tutte le cover e le b-side, e che il booklet a otto pagine è scarno e abbozzato tanto da sembrare una presa in giro (la copertina lo è sicuramente!), la conclusione non potrà che essere scontata: boicottate "Blood-Rooted" e tutte quelle operazioni commerciali tese a speculare sui fan che (ancora) acquistano il materiale dei propri beniamini. Roadrunner qui ha davvero esagerato, a differenza invece di quanto fatto con "The Roots Of Sepultura" dove ripropose a distanza di pochi mesi dall'uscita di "Roots" quel celebre disco accompagnato da un intero cd bonus completo di booklet ricco e approfondito.

Nota finale: il sottoscritto ha commesso vari errori da giovane nell'acquisto di alcuni album, ma in questo caso sono innocente, infatti la compilation qui trattata la ricevetti in regalo intorno al 2003!

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PROJECT ARMAGEDDON - Departure / Tides Of Doom


Informazioni
Gruppo: Project Armageddon
Titolo: Departure / Tides Of Doom
Anno: 2010-2012
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Shattered Man Records / Autoprodotto
Contatti: facebook.com/pages/Project-Armageddon/115542915136006
Autore: Mourning

Tracklist Departure
1. Plague For Shattered Man
2. Psyko-Sonic
3. The Reckoning Of Ages Pt. I
4. The Reckoning Of Ages Pt. II
5. Steward Of Shame
6. Lament For The Leper King
7. Time's Fortune
8. Static Transmission
9. Departure

DURATA: 45:11

Tracklist Tides Of Doom
1. Into The Sun
2. Call To Piety
3. Sanctimonious
4. Conflict
5. Tides Of Doom
6. Upon Solace's Shores
7. Fallow Fields
8. Paths Of Darkness

DURATA: 50:21

Per un motivo o un altro non tutti i progetti musicali che popolano il mondo possono arrivare al nostro orecchio, sono troppi, impossibili da seguire e volenti o nolenti c'è sempre qualche chicca che ci scappa, ma si possono recuperare? Alcune sì, altre le incrocierò con una botta di culo, altre ancora rimarranno a noi sconosciute.
Dei Project Armageddon non avevo mai sentito parlare, il trio di Houston (Texas) formato da Alexis Hollada (voce e basso), Brandon Johnson (chitarra) e Raymond Matthews (batteria) mi era sconosciuto sino all'attimo in cui ne ascoltai un paio di brani nell'universo ormai andato a farsi benedire denominato Myspace.
Contattarli lì sarebbe stato uno spreco di tempo, quindi tramite "Faccialibro" e grazie alla disponibilità di Brandon e soci nel rispondermi e inviare il materiale, posso oggi scrivervi di entrambi i loro lavori, i due sinora pubblicati: "Departure" e "Tides Of Doom". La band è una realtà piacevolmente legata al sound doom retrò e per retrò intendo proprio il proto-sound, abbiamo pertanto una natura molto settantiana che non sfora oltre i primi anni Ottanta come stile, le basi fondamentali sono riconducibili, oltre ovviamente ai monumentali Black Sabbath, all'hard-rock blues e stoner/doom di gente come Blue Cheer Mountain, Saint Vitus, Pentagram e Trouble, ai quali si potrebbero sommare alcune creature oscure del filone N.W.O.B.H.M. e data l'impostazione vocale di Alexis, in qualche frangente sostanzialmente epic nell'imporsi sul pezzo, i nomi potrebbero aumentare quanto il piacere nell'ascoltare le tracce del debutto targato 2010.
A esempio "Plague For Shattered Man" suona talmente come un classico che ti fa dubitare della sua data di nascita, inoltre in qualche occasione ho notato un'affinità con un'altra compagine adoratrice dei Sabbath, i Soundgarden, precisamente quelli di "Outshined", parlo più che altro in termini di feeling e non di precisa collocazione sonora, anche i ragazzi di Seattle erano decisamente al di fuori degli anni Novanta con quella proposta.
I tre legano al fattore doomish una sapiente vena melodica malinconica grazie a toni blues che affascinano e in tal senso l'album ci regala due ottimi pezzi come "Psyko-Sonic" e "The Reckoning Of Ages Pt.II" intervallati dalla "Pt.I" acustica e "tribaleggiante", dal flavour riconducibile a quel gran trippone che è "Planet Caravan", vi sembra poco? Fibrillazione e goduria insieme, e intanto si è giunti a metà disco con "Steward Of Shame" che ci offre una visione maggiormente metallizzata almeno nella fase iniziale, infatti dopo il terzo minuto si rientra in quell'abito oscuro, lento e decadente che tanto ci aggrada.
Non ci sono sorprese nella musica dei Project Armageddon, sembra di avere a che fare con un amico di vecchia data, una persona che conosci da troppo tempo e di cui apprezzi sempre e comunque la compagnia.
Si prosegue col secondo strumentale del lotto "Lament For The Leper King", dotato di un ammaliante operato del riffing che ti si stampa in testa, seguito da "Time's Fortune" dove si palesa una gradita intromissione di stampo epico ad arricchire la proposta, per arrivare a un finale che non sarebbe potuto essere diverso, infatti la breve "Static Transmission" e la conclusiva titletrack omaggiano pienamente le radici tipiche dello stile. A due anni di distanza da "Departure" viene rilasciato "Tides Of Doom", non ci sono stati cambi in line-up, i Project Armageddon saranno quindi riusciti a mantenere gli standard del loro lavoro così alti e affascinanti? Scopriamolo.
Una volta inserito il cd, la prima nota positiva riguarda la produzione, se quella di "Departure" era soddisfacente e polverosa, adesso si ha una definizione più netta e spessa dei suoni, già dall'opener "Into The Sun" veniamo accolti da un peso strumentale decisamente rafforzato, mentre per quanto riguarda le coordinate del sound, la fedeltà d'intento è innegabile, ascoltate "Sanctimonious" e ditemi voi chi dobbiamo ringraziare.
Apprezzo in egual maniera chi tenta di stravolgere la propria natura rischiando e coloro che in forma coerente perseguono il tragitto dando una forma sempre più vivida e intrigante alle proprie prestazioni di album in album. Alexis, Brandon e Raymond in questa circostanza hanno virato ancor più in territorio doomico ed è con grandissimo piacere che posso affermare di aver avuto all'orecchio momenti d'una intensità indescrivibile, che solo band come a esempio i Count Raven sono capaci di trasmettere.
È da evidenziare anche come il numero dei brani totali sia diminuito di un'unità mentre la lunghezza invece sia aumentata, in "Tides Of Doom" troviamo tre colossi oltre gli otto minuti: la titletrack, "Fallow Fields" e "Paths Of Darkness" che per costruzione e stile potrebbero tranquillamente far pensare a una band venuta fuori grazie al supporto di una etichetta come la Doom-Dealer, in pratica pensate a roba in stile Orchid e avrete fatto centro.
L'ennesima constatazione positiva da rivolgere nei confronti di "Tides Of Doom" è rivolta alla modalità con la quale sono state inserite le tre canzoni strumentali "Call To Piety", "Conflict" e "Upon Solace's Shores", il primo e il terzo episodio sono incentrati sulla crescita dell'impatto tramite soluzioni non elettrizzate, mentre la seconda si allinea all'esecuzione e alle vibrazioni prodotte dalle tracce nel quale appara la voce, che non interrompe il flusso di sensazioni che girano intorno all'area "destino".
Entusiasmo e doom allo stato puro, questo è ciò che sono i Project Armageddon, una band che mi sento di consigliare agli appassionati del panorama classico e pertanto i due dischi, "Departure" e "Tides Of Doom", non sfigureranno all'interno delle collezioni che andate arricchendo di giorno in giorno, non lasciatevi scappare l'occasione, fateli vostri.

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SACCAGE


Informazioni
Autore: ticino1

Formazione
Max Distilly: Batteria, Voce
Nath Botch: Chitarra, Voce
Phat Labrosse: Voce, basso
Dan Mécréant: Voce


Salve ragazzi, grazie per la vostra disponibilità. Prima domanda, come state? Quali sono state le reazioni al vostro disco?

L'opinione altrui è sempre interessante ma quest'album è qualcosa di davvero personale, tanto che ne siamo soddisfatti e la nostra musica ci colma, questo è ciò che conta. Ci sono comunque molte buone critiche un po' dappertutto in rete e la reazione del pubblico è globalmente positiva. È sicuramente d'aiuto il fatto che questo LP è promosso da diverse etichette. Questo conferma che abbiamo prodotto un'opera di qualità e ci motiva ulteriormente.


Personalmente sento poco black (per mia fortuna) in "Death Crust Satanique". Nella mia analisi del lavoro cito Slayer, la scuola tedesca della prima ondata (i veri classici), un poco di Scandinavia e naturalmente i classici canadesi per descrivere il miscuglio ai lettori. Che cosa ne pensate, erro completamente?

No, a parte qualche dettaglio hai ragione. Subiamo parecchie influenze che generano un suono originale e omogeneo, secondo noi. Tanto thrash e death di vecchia scuola quanto il grind e il crust sono dei sottogeneri che lasciano un segno nella nostra musica, il black metal, col suo lato oscuro, malvagio e nichilista trascende i Saccage. La scena svedese ha marcato fortemente la nostra evoluzione durante gli ultimi anni (Entombed, Wolfbrigade/Wolfpack, Martyrdod, etc.).


Sì, lo so, oggi è facile trovare in rete abbastanza informazioni riguardo i gruppi, desidero comunque sentire da voi come sono nati i Saccage e un po' di storia in generale.

I Saccage hanno esordito nel 2007 quando il nostro batterista decise di produrre musica più violenta, veloce e aggressiva rispetto al suo progetto precedente, con un soggetto più personale e folle che non si prendesse troppo sul serio, ovviamente interamente in francese, qualcosa d'autentico che riflettesse quello che eravamo. Il gruppo ha inciso due demo fra il 2008 e il 2009, sotto forma di split. Dopo qualche cambiamento di membri, abbiamo prodotto quest'album che è il risultato di una discreta rivoluzione durata cinque anni.


Lo stato del Québec rappresenta una minoranza come lo è il Ticino in Svizzera o alcune regioni di lingua diversa in Italia. Comunque s'incontrano molti gruppi validi che si presentano al pubblico con prodotti di ottima qualità. Come giudicate la scena nel Québec e generalmente in Canada?

Il Québec ha una buona scena. Malgrado il nostro genere musicale non sia il più conosciuto nella nostra provincia, ci sono tanti gruppi che hanno prodotto del buon materiale negli ultimi anni. Il Canada è un paese immenso che ha le dimensioni di un continente. Non so dirti dunque come sia la scena canadese in generale. Noi siamo francofoni nel Québec quindi non rappresentativi per quello che sono i canadesi anglofoni.


Vi vedremo live in Europa?

Un giorno, forse. Per ora siamo troppo occupati con l'alcol e troppo al verde per attraversare l'Atlantico.


Gli Stati Uniti sono sovente considerati come i nonni del metallo estremo ma, se si osserva la storia, una grande parte del pubblico americano cercava la sua ispirazione altrove, anche in Canada. Un esempio evidente è stato Chuck Schuldiner che fu parte degli Slaughter. Che cosa pensate riguardo tale fenomeno? Il Canada è forse il grande fratellastro degli Stati Uniti?

Il Canada ha una storia molto ricca ma è sempre restato molto più nel sottosuolo rispetto agli Stati Uniti, pieni di formazioni di calibro internazionale. Penso comunque che il Canada abbia una buona reputazione, grazie a gruppi di culto nell'underground, come Slaughter, Razor, Blaspemy, Infernal Majesty, eccetera, che aiuta i novizi a raggiungere più facilmente l'ascoltatore. Da dieci o quindici anni a questa parte, secondo me, l'Europa è il luogo per eccellenza dedicato alla musica estrema. È molto più facile per un gruppo farsi conoscere lì con tutti quei festival e tramite una scena molto più attiva che non nell’America del Nord.


Che cosa v'ispira principalmente durante la composizione delle canzoni e dei testi?

Il nostro metodo di composizione è semplice ma efficace. Partiamo da idee per riff di chitarra e batteria che riteniamo interessanti. Poi troviamo un tema per questi pezzi con un titolo che c'ispira in base alla musica; le parole vengono poi da sé.


Padroneggiate l'arte di lasciare traspirare del moderno nelle canzoni sovente retrò. Quali sono le vostre influenze, anche più moderne?

Siamo principalmente fan di musica della vecchia scuola, scuola che influenza sovente anche i gruppi moderni che ascoltiamo. È anche un po' così per noi. Penso che il nostro suono sia old school ma comunque moderno perché erano rari i gruppi che negli Anni Novanta mischiavano il metal e il crust. Ora questo stile si è trasformato in una scena abbastanza grande e globale.


Quali sono gli obiettivi di Saccage per i prossimi due anni?

Diffondere questo disco il più possibile, suonare live e fare della musica che ci soddisfi. Questo gruppo è sempre stato molto legato alla persona di ognuno di noi e dunque non abbiamo un vero obiettivo fisso. Per noi è innanzitutto passione. Probabilmente incideremo qualche pezzo nuovo l'anno prossimo per un disco che non è ancora definito. Preferiamo la qualità alla quantità.


I lettori qui sono in gran parte italiani... che cosa vi piace della cucina italiana e che cosa no?

È una domanda divertente. Credo che siano i "classici italiani", pasta e pizza, come dappertutto sulla Terra.


I membri di Saccage condividono i gusti musicali o ci sono delle grandi differenze a livello di stile personale e dunque ognuno ascolta qualcosa di completamente diverso?

Abbiamo tutti la medesima visione di ciò che dev'essere Saccage. Ci capiamo benissimo a livello musicale e condividiamo una gran parte dei gusti. Ognuno ha comunque le proprie preferenze e ciò contribuisce a completare il nostro suono.


Sex, Drugs & Rock'n'Roll... credete che qualcosa sia cambiato in questa filosofia?

Applichiamo questa filosofia quotidianamente. Never stop the madness!


Lo ammetto: ho un debole per il Canada e per il disco su ghiaccio! La NHL è in crisi. Il vostro paese ne è pure colpito?

L'hockey è lo sport nazionale nel Québec, appartiene alla nostra cultura. Sì, questa situazione fa cagare parecchio i partigiani di qui, sarebbe come togliere il calcio all'Italia.


Grazie per le risposte e vi auguro buona fortuna per il futuro; a voi l'ultima parola!

Grazie per il sostegno a Saccage! 666.

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SACCAGE (version française)


Informations
Auteur: ticino1

Line-up
Max Distilly: Batterie, Chant
Nath Botch: Guitarre, Chants
Phat Labrosse: Chant, Basse
Dan Mécréant: Voix


Salut les gars. Merci pour votre disponibilité. Première question, comment allez-vous ? Quelles réactions avez-vous reçu à regard de votre disque ?

L'opinion des autres est toujours intéressante, mais cet album a vraiment quelque chose de personnel, tant que nous sommes satisfaits et comblés par notre musique c'est le principal. Par contre, il y a beaucoup de très bonnes critiques un peu partout sur le web et la réaction des auditeurs qui gravite autour de nous et sur le reste de la planète est très positive. De voir ce premier long jeux paraitre sur plusieurs labels est aussi un gros plus. Ça confirme que nous avons un opus de qualité et c'est motivant.


Donc, personnellement je trouve peu de black (heureusement pour moi) dans « Death Crust Satanique ». Dans mon analyse du travail je cite Slayer, les écoles allemandes de la première vague (les vrais classiques), un peu de Scandinavie et naturellement les classiques canadiens pour décrire un peu le mélange aux lecteurs… Qu’est-ce que vous pensez? Je me trompe totalement ?

Non c'est un bon résonnement à peu de choses près. Nous avons plusieurs influences qui créent un son original et homogène a notre avis. Autant le Thrash et le Death Metal old school, que le Grindcore et le Crust Punk sont des sous-genres qui influencent notre musique que le Black Metal pour son côté sombre, evil et nihiliste que transcende Saccage. La scène Suédoise en une qui a beaucoup marqué notre évolution dans les dernières années (Entombed, Wolfbrigade/Wolfpack, Martyrdod, etc.).


Je sais, il est très facile aujourd’hui de trouver des informations en ligne à propos de groupes… quand même, j’aimerais entendre de votre côté un petit peu comment est né Saccage et son histoire en général.

Saccage a débuté en 2007 lorsque nôtre batteur voulait créer une musique plus violente, rapide et agressive que son projet précédent avec une thématique plus personnelle et malsaine qui ne se prenait pas trop au sérieux et entièrement en français, quelque chose d'authentique qui reflétait plus qui nous étions! Le groupe a enregistré deux démos en 2008 et 2009 donc une sous forme de split, et après quelques légers changements de line-up, nous en somme rendu à cet album qui marque une belle évolution depuis ses 5 années.


Le Québec représente une minorité comme en Suisse le Tessin ou en Italie certaines parties avec leurs populations de langues complètement différentes. Quand même, ils existent tas de groupes redoutables qui se montrent au publique avec des produits d’haute qualité. Comment jugez-vous la scène au Québec et au Canada en général ?

Le Québec a une bonne scène. Malgré que nôtre genre musical ne soit pas celui le plus connue dans notre province, il y a des bon groupes qui ont produit du bon matériel dans les dernières années. Le Canada est un énorme pays, il fait la longueur d'un continent. Donc je ne sais pas vraiment comment se porte la scène Canadienne ailleurs dans le pays. Et nous sommes Québécois Francophones, les Canadiens anglais ne sont pas vraiment représentatif de qui nous sommes.


Est-ce qu’on peut compter de vous rencontrer en Europe en tournée ?

Peut-être un jour. Pour l'instant nous sommes pas mal trop alcooliques et fauchés pour traverser l'Atlantique.


Les États-Unis sont souvent considérés comme les grands-pères du métal extrême, mais, si on observe l’histoire, une grande partie du publique aux États-Unis cherchait son inspiration ailleurs, aussi au Canada. Frappant est l’exemple de Chuck Schuldiner qui était partie de Slaughter. Qu’est-ce que vous pensez à propos de ce phénomène? Est le Canada en vérité le grand frère méconnu des États-Unis ?

Le Canada a un riche passé mais est toujours resté plus underground que celle des États-Unis qui a vraiment vue beaucoup plus de groupes jouir d'une énorme réputation au niveau international. Je crois quand même que le Canada a une bonne réputation avec plusieurs groupe 'culte' dans l'underground (tel que Slaughter, Razor, Blasphemy, Infernal Majesty, etc.) et cela aide pour les groupes de la relève à toucher plus d'auditeurs. Depuis 10 ou 15 ans je dirais que l'Europe est vraiment l'endroit par excellence pour la musique extrême, c'est beaucoup plus facile pour un groupe de devenir connue avec tous les festivals et une scène beaucoup plus active que en Amérique.


Qu’est-ce que vous inspire principalement pendant la composition des chansons et des textes ?

Notre manière de composer est assez simple mais efficace. Nous prenons des idées de riffs de guitare et de batteries que nous jugeons accrocheur et nous débutons à partir de cela. Ensuite nous trouvons une thématique pour ses pièces avec un titre qui nous inspire selon la musique et les paroles viennent naturellement.


Vous maitrisez l’art de laisser transpirer de la modernité dans des pièces quelque fois très rétro. Est-ce que vous pouvez nous confier quelles sont vos influences, du passé et modernes ?

Nous sommes des fans de musique old school principalement, donc beaucoup de groupes que nous écoutons peuvent être des projets récent mais sont directement influencés de la vieille école. C'est un peu notre cas aussi. Je crois que notre son est old school mais tous de même récent car rare était les groupes qui mélangeait le Metal et le Crust dans l’année 90, alors que maintenant c'est une scène qui est devenu assez grosse sur la planète.


Quels sont les buts de Saccage au moment, disons pour le prochains deux ans ?

Propager cet album le plus possible, se produire en spectacle et faire de la musique qui nous comble. Ce groupe a toujours été très personnel pour chacun des membres donc nous avons aucun but fixe. Pour nous c'est une passion en premier lieu. Nous allons probablement enregistrer quelques nouvelles pièces l'an prochain pour un release qui n'est pas encore décidé. La qualité avant la quantité.


Vos lecteurs ici sont aussi italiens… est-ce que vous aimez la cuisine italienne, quoi particulièrement et quoi pas du tout ?

C'est un drôle de question! Je crois que c'est un peu les 'classiques italiens' comme partout ailleurs sur la terre. Tout ce qui est pates ou pizza.


Est-ce que les membres de Saccage son en parfait accord au niveau des goûts musicaux ou bien il y a de fortes différences de style personnel et chacun écoute de la musique absolument différente des autres?

Nous avons tous la même vision de ce que doit être Saccage. Nous nous entendons très bien au niveau musical et nous partageons pas mal les mêmes gouts. Nous avons tous de même chacun nos préférence mais cela vient compléter notre son.


Sex, Drugs & Rock’n’Roll… est-ce que vous pensez que quelque chose a changé dans cette philosophie? Pourquoi ?

Nous appliquons cette philosophie au quotidien. Never stop the madness!


Oui, je l’admets… j’ai un faible pour le Canada et pour le hockey sur glace! La NHL est en crise. Votre pays en est en aussi touché ?

Le hockey au Québec c'est notre sport national, ça fait partie de notre culture. Donc oui, ça fait vraiment chier les partisans ici, c'est comparable à si il n'y aurait pas de foot dans votre pays.


Bon, merci beaucoup pour les réponses et je vous souhaite de la très bonne chance pour le future. Je vous laisse le dernier mot !

Merci de supporter SACCAGE! 666.

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domenica 27 gennaio 2013

INVERNO - Inverno


Informazioni
Gruppo: Inverno
Titolo: Inverno
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Punishment 18
Contatti: facebook.com/INVERNOTHRASH
Autore: Mourning

Tracklist
1. Prelude To The Bomb
2. Tsar Bomb
3. Pray
4. Terrorizer
5. Beer
6. Chemical Death
7. War
8. Religious Explosion
9. Lager

DURATA: 34:15

I thrasher vicentini Inverno ripartono da ciò che avevano sfornato nel loro recente passato, difatti la prima opera "Thrashgressive" (rilasciata nel 2011 tramite autoproduzione) vede nuova vita nel 2012.
Il titolo è cambiato, hanno preferito utilizzare il nome della band, la produzione è nitida e fornisce un supporto al sound adesso più definito, anche l'artwork ha subito un restyling che lo ha reso maggiormente affine e indicativo del messaggio che il quartetto vuole inviare. A questo proposito v'invito a leggere i semplici testi che si sposano perfettamente con le note composte, probabilmente infoltiti da cliché, ma che rendono l'idea su questioni comunque attuali come la guerra e sappiamo bene come i suoi orrori siano purtroppo sempre correnti.
La musica dei Nostri è fortemente influenzata dalla Bay Area, che risulta essere il centro di riferimento. Ripetere gli stessi nomi ogni volta mi pare inutile, quello che c'interessa è addentrarci in un disco che, pur evidenziando una notevole quanto piacevole sottomissione agli standard del genere, riesce a sollevare la testa, facendo filtrare nell'intelaiatura dei pezzi sonorità heavy e speed che si offrono all'orecchio come una gradita variante, ascoltate ad esempio "Chemical Death" e "Religious Explosion".
Stiamo perciò parlando di tracce esplosive e taglienti, di canzoni capaci di sfoderare velocità dirompenti quali "Tsar Bomb" e "Terrorizer", con la seconda che palesa una costruzione lievemente più ricercata e dinamica, ma che non rinnegano atteggiamenti più pesanti come avviene in "Pray", scandita da un massiccio mid-tempo e nel groove di "War".
Gli Inverno sono preparati e lo dimostrano nelle prestazioni individuali, i chitarristi Pier Paolo Pojer e Frigo Riccardo non se la cavano per niente male, neppure in fase solistica, gli assoli sono ben incastonati all'interno dei brani e adrenalinici quel tanto che basta per attirare su di sé l'attenzione. I due non si tirano mai indietro nemmeno in ambito vocale, offrendo una prova arcigna, con l'asse ritmico composto da Marco Burrometo al basso e Davide Cupani alla batteria pronto a supportare con insistenza e una più che discreta affidabilità le scorribande delle sei corde.
"Inverno" è trascinante, scatenato e gode di un minutaggio adeguato a una proposta che non ha la minima intenzione di mollare la presa, è thrash genuino la cui unica pretesa è quella di esser assorbito a un volume esagerato, magari con una sana sessione di headbanging ad accompagnarne le evoluzioni.
Un'ultima cosa: una volta inseriti gli Inverno, non dimenticate di stappare una buona birra, ci sta tutta.

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BEHEADED - Never To Dawn


Informazioni
Gruppo: Beheaded
Titolo: Never To Dawn
Anno: 2012
Provenienza: Malta
Etichetta: Unique Leader Records
Contatti: facebook.com/BeheadedMT
Autore: Mourning

Tracklist
1. Elapsed In The Vortex Of Extinction
2. Lament Of A Sordid God
3. Where Hours Etch Their Name
4. Perished Into Inexistence
5. Never To Dawn
6. Dead Silence
7. Towards An Abducted Sun
8. Descent Into Sanguinary Seas
9. The Ancient Acumen

DURATA: 43:36

I Beheaded con tutta probabilità sono la realtà più importante della scena metal maltese, la band è in giro sin dai primissimi anni Novanta, però era in stato "comatoso" dal 2005. Ci sono voluti quindi ben sette anni per veder dato alla luce il quarto lavoro "Never To Dawn", consegnatoci da una line-up differente per 2/5 da quella che compose "Ominous Bloodline": odiernamente vi sono Robert Agius alla seconda chitarra e Frank Calleja dietro al microfono, rispettivamente al posto di Chris Mintoff e Melchior Borg.
La formazione isolana si proietta nella direzione di un death metal che rimane brutale e tecnico quanto basta, ma che al contempo risulta più flessibile, il songwriting evidenzia come la scena old school e il presente del genere riescano a convivere, dando vita a uno degli "highlights" del 2012.
Il buon gusto e le mattonate non sono mai stati un problema con loro, una volta inserito un disco dei Beheaded nello stereo eri sempre sicuro di avere all'orecchio ciò che desideravi, "Never To Dawn" è però lo step successivo.
Non è soltanto un prodotto affine al passato che soddisfa le speranze riversate nella lunga attesa-concepimento del lavoro, al tempo stesso mostra una maturità raggiunta senza mezzi termini, l'abilità di chi masticando continuamente questa forma d'arte ne è ormai totalmente in possesso ed è quindi in grado di sfruttarne le potenzialità, potendosi muovere agilmente in più direzioni. Gli episodi posti in apertura "Elapsed In The Vortex Of Extinction" e "Lament Of Sordid God" ne sono la riprova, con il primo incantevole per l'esposizione e l'operato del batterista Chris Brincat, un fottuto martello pneumatico, e il secondo che conferma la bontà del pezzo precedente alzando però i giri al motore con l'effetto di una centrifuga. Citando Bruno Pizzul: è tutto molto bello.
Se l'inizio è terremotante, con il resto del disco non si scherza proprio, "Where Hours Etch Their Name" e "Never To Dawn" fanno sì che gli influssi anni '90 del sound fuoriescano, la Florida death del periodo d'oro di nomi quali Morbid Angel, Deicide e Cannibal Corpse affiora, l'istinto e la personalità impressi nella composizione portano però il marchio Beheaded; il growl al confine con l'animalesco e il blasfemo di Calleja pare essere la ciliegina sulla torta.
Tra questi due pezzi si trova "Perished Existence" che invece si fa apprezzare per un intarsio melodico e ritmico dallo sviluppo maggiormente "catchy".
È dunque vita nuova o solo evoluzione? Il periodo di fermo ha dato a questa band una consapevolezza dei mezzi in proprio possesso veramente pazzesca, l'ascolto fila spedito ed è il turno di entrare in scena per "Dead Silence" e "Towards An Abducted Sun", le canzone più brevi del lotto. Esse si esibiscono alternando una visione schizofrenica da delirante corsa contro il tempo e una esecuzione strumentale cronicamente devota all'esaltazione del disagio, stato d'animo che persiste anche nelle notevoli accelerazioni e nella consistente carica groove di "Descent Into Sanguinary Seas", prima che l'album assuma contorni esasperati nella lucida follia da massacro insita nella finale "The Ancient Acumen".
Signori, siamo di fronte a un "Never To Dawn" che sfiora lo status di capolavoro, è un gioiellino e mi auguro, e non solo il solo, che non debbano passare altri sette anni per poter avere fra le mani un ennesimo sforzo discografico dei Beheaded. Sono una di quelle band alle quali ci si può affidare, con i maltesi il rischio di rimanere delusi sinora è stato allontanato sempre e comunque, sapete quindi cosa fare, mettete mano al portafoglio e comprate!

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