lunedì 24 giugno 2013

IT CAME FROM OUTER SPACE #15

KAMPFZONE - Aussenseiter

Informazioni
Gruppo: Kampfzone
Titolo: Aussenseiter
Anno: 1998
Etichetta: Dim Records
Autore: ticino1

Teste rasate appartenenti alla classe lavoratrice, malviste dalla società perché sono rozze, puzzano e hanno la lingua che taglia ferro? Al più tardi Don Camillo e Peppone ci hanno insegnato che basterebbe grattare per scoprire molto di più sotto una crosta schifosa. Questi crucchi si muovono nella zona grigia della legge (legge di chi?), amoreggiano apparentemente con la destra seppur giocando a dama con la sinistra, parlano di una libertà non definita... dove metterli? "Bombe Per Baghdad" non è davvero qualcosa che tocchi la nostra società e rispecchia ciò che fu il pensiero classico nei Novanta, il "diritto al lavoro" non spetta a tutti? Mah, il disco spaccava nel '98 e impressiona ancora oggi. Qualche salva di Oi! tedesco di qualità, con riff taglienti e marziali, non ha mai fatto male. Oi! Oi! Oi!


RENARD - Intensive Care Unit EP: Extended And Remastered

Informazioni
Gruppo: Renard
Titolo: Intensive Care Unit EP: Extended And Remastered
Anno: 2010
Etichetta: Lapfox Trax
Autore: Insanity

Cosa dovremmo aspettarci da una volpe dalle sembianze umane, asessuata e vestita da infermiera? La risposta ce la da Renard Queenston, creatore della Lapfox Trax e di tutti i personaggi che ne fanno parte. "Intensive Care Unit" è senza dubbio uno dei suoi lavori più conosciuti, grazie anche al fatto che il titolo è diventato una sorta di meme. Ciò che ci propone sotto questo alias è un mix di Breakcore, Happy Hardcore, campioni vocali, melodie orecchiabili e sonorità da videogioco anni '80 - '90; album perfetto per entrare in contatto con il piccolo mondo furry creato da questo folle canadese. È stato pubblicato una prima volta nel 2009, ma un anno dopo è stato esteso con ben cinque tracce nuove: ovviamente buttatevi direttamente sulla seconda, la sua pagina Bandcamp vi aspetta.



SCIALPI - Estensioni

Informazioni
Gruppo: Scialpi
Titolo: Estensioni
Anno: 1983
Etichetta: RCA
Autore: Mourning

Scheletri nell'armadio? Ovvio che sì, tutti li hanno e il sottoscritto non fa di certo eccezione. A tre anni circa, correva l'ormai lontano 1984, giravo per casa con il mio "mangiadischi" portatile con a palla "Rocking Rolling" del signor Scialpi. Sì, avete letto bene, un uomo che con quel cappero di canzone mi ha devastato e che al tempo stesso mi faceva sorridere. L'album "Estensioni" non è di quelli indimenticabili e tolta quella hit non l'ho mai calcolato più di tanto, è solo un ricordo che condivido con voi cari lettori. Non v'invito all'ascolto, ma chissà che qualche impavido, anche solo per farsi due risate, non si diverta a metterlo su.





LUCIO DALLA - Automobili


Informazioni
Gruppo: Lucio Dalla
Titolo: Automobili
Anno: 1976
Etichetta: RCA Italiana
Autore: 7.5-M

Roversi e Dalla. Parola e suono. Un tema: l'automobile; nel suo valore sociale, politico, epico, umano. Un disco, che nasce innanzitutto come spettacolo, che segna un momento complesso e felice della musica di Dalla, quando ancora era in bilico tra la musica progressiva e la popolarità più semplice. Sulla strada c'è un'Italia con i suoi personaggi: l'avvocato è il gran borghese torinese dalla lingua scat-enata; Nuvolari è un eroe epico, un bronzo greco; del ragazzo del 2000 non possiamo capire la macchina del cuore, nonostante la nostra conoscenza tecnica, che vuole essere illimitata; seguiamo la Mille Miglia del '47 col cuore in mano; ammiriamo due ragazzi che vivono un amore in un'auto in demolizione. Un'Italia degli anni '70 da rivedere, su specchietti retrovisori, per capire da dove veniamo, dove andiamo, velocissimi.



MISFITS - Walk Among Us

Informazioni
Gruppo: Misfits
Titolo: Walk Among Us
Anno: 1982
Etichetta: Ruby Records
Autore: Dope Fiend

Orrore, semplicità, cattiveria, melodia e un "devilock" davanti a giovani facce truci. Sapete di chi sto parlando? No? Meritate di morire, subito e malissimo. Sto parlando di vampiri, di zombie e di diavoli portati in trionfo con la più becera qualità da B-movie. Sto parlando di ragazzi americani malamente truccati, ragazzi a cui piace far convivere i Ramones con il dubbio gusto orrorifico. Sto parlando della storia, sto parlando della nascita di una nuova corrente musicale, sto parlando di una band che influenzerà maree di musicisti. Sto parlando di un disco grezzo, malamente prodotto e malamente registrato che conquisterà buona parte del mio cuore.

...Armies of the dead surviving
Armies of the hungry ones...




DAFT PUNK - Random Access Memories

Informazioni
Gruppo: Daft Punk
Titolo: Random Access Memories
Anno: 2013
Etichetta: Columbia
Autore: Istrice

Non penso esista al mondo oggi un artista di musica elettronica più in vista dei Daft Punk, duo francese sulle scene da ormai oltre un quindicennio, capaci di raggiungere uno status da "intoccabili" come poche altre band nella storia. I tre album precedenti li hanno consegnati all'Olimpo, prima del lungo silenzio, durato ben otto anni, intervallato tre anni fa dalla colonna sono di "Tron 2" (pregevole peraltro).

Il ritorno sulle scene è di quelli che fanno discutere, "Random Access Memories" è un album spiazzante, dimenticatevi l'elettronica più aggressiva, dimenticatevi le reminiscenze house, e preparate le orecchie ad immergervi nel passato. Nell'anno 2013 in cui ormai chiunque si dedica con risultati alterni a giocare a fare il dj, la formazione ritorna alle origini, regalando un disco quasi interamente analogico, dai ritmi retrò, dalle atmosfere funky, ricco di citazioni ("Giorgio By Moroder" ripercorre i passi di Giovanni Giorgio Moroder, pioniere dell'utilizzo di sintetizzatori), rilassante, brillante, orecchiabile senza essere mai scontato. Un passo avanti con un tuffo carpiato all'indietro.

C'è chi la definisce una "poserata", passatemi il termine, e potrei quasi essere d'accordo, ma una cosa è certa, è una "poserata" fatta davvero, davvero bene.



ULVER - Teachings In Silence

Informazioni
Gruppo: Ulver
Titolo: Teachings In Silence
Anno: 2002
Etichetta: Jester Records
Autore: Akh.

Chi non conosce gli Ulver?
Chi non conosce il loro approccio musicale?
Chi non conosce la loro attitudine che li ha portati ad abiurare il Black Metal, perché ritenuto un genere ormai omologato e incline al piacere di una certa massa?
Chi non conosce la versatilità istrionica di Garm?
Chi non conosce il loro lato sperimentale ed introverso?
Chi non conosce il lato notturno degli Ulver?
Chi non conosce la loro volontà di allontanarsi dagli stereotipi e dal riciclaggio di se stessi?

Ovviamente tutti in coro mi risponderete: noi tutti sappiamo già queste cose.

Bene, gli Ulver allora mettono in musica... il silenzio.



INCUBUS - S.C.I.E.N.C.E.

Informazioni
Gruppo: Incubus
Titolo: S.C.I.E.N.C.E.
Anno: 1997
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Immortal / Epic
Autore: M1

Non posso raccontarvi nulla di "S.C.I.E.N.C.E." con gli occhi dei primi anni del 2000, poiché ricordo davvero poco dell'album, se non che lo comprai nel periodo di esplosione del nu metal, spinto anche dalla "pubblicità" fatta agli Incubus da uno dei miei migliori amici (un saluto a Chicco / Homer!). Riascoltato oggi per me è un buon disco crossover, dalla regia mi dicono fortemente influenzato dai Faith No More (io non me ne intendo) e nel quale troverete riffoni potenti in stile "nu" e ritmiche funky, cantato rap e ampie dosi di elettronica, un basso pompatissimo e pure un brano dal tocco "vintage" come "Nebula". Scordatevi gli Incubus in versione edulcorata che vi passa MTV e godetevi un pezzone come "A Certain Shade Of Green".

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ONEIROGEN - Kiasma


Informazioni
Gruppo: Oneirogen
Titolo: Kiasma
Anno: 2013
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: Denovali Records
Contatti: facebook.com/oneirogenvoid
Autore: Mourning

Tracklist
1. Numina
2. Pathogen
3. Mutilation
4. Imminence
5. Katabasis
6. Gauze
7. Mortisomnia

DURATA: 50:09

Dietro il nome Oneirogen si cela l'artista newyorkese Mario Diaz De Leon, sin qui autore dell'album "Hypnos" rilasciato nel 2012 e seguito nello stesso anno dall'ep "Veni Nox Anima". La sua collaborazione con la Denovali Records, già supporto ideale per quelle uscite, prosegue nel 2013 con l'avvento del secondo capitolo discografico "Kiasma". La proposta è complessa e di difficile assorbimento, soprattutto per coloro abituati alle basi ritmiche disegnate dalla batteria, strumento che viene praticamente messo di lato, se non per sparute "apparizioni" campionate all'interno della traccia conclusiva "Mortisomnia".

Descrivere l'album rinchiudendolo in un circolo preciso di sonorità è difficile, sembra di avere a che fare con Sunn 0))), Nadja, Mogwai, Cult Of Luna e Tangerine Dream shakerati... cosa ne sarà venuto fuori? Immaginate un abisso di armonie dolciastre e ampie capaci d'inglobare in sé una catena di emozioni sconfinata. Questa fossa, divorando perennemente l'animo, ne muta la tensione e la velocità di caduta, fornendo all'ascoltatore pallide speranze caratterizzate dalla fluidità angelica, seppur scura e in parte corrotta, dei sintetizzatori per poi spezzarle impietosamente. Un manto nero e disturbato infatti le avvolge, con la componente drone e l'ossessività obliante del doom che sembrano convergere in maniera inesorabile. Prendete in considerazione la doppia accoppiata composta da "Pathogen" - "Imminence" e "Katabasis" - "Gauze" quale riferimento per farvi coinvolgere in tale accentuato contrasto sensoriale.

A quell'invitante quartetto di brani che divide il vissuto fra sogni ingrigiti e veri e propri incubi si uniscono le rimanenti "Numina", traccia posta in apertura che idealmente sarebbe perfetta da inserire in una colonna sonora da film di fantascienza, "Mutilation", dove la sensazione atmosferico-spaziale è decisamente più cristallina ed espansa, e la già citata "Mortisomnia", inquietante e dal sottofondo lacerato dall'intrusione della voce maligna. La chiusura infine è suggellata con un crescendo etereo e dilaniante dei sintetizzatori.

Gli Oneirogen sono consigliati agli esploratori di paesaggi sconfinati, agli abituali fruitori del panorama elettronico che potranno più facilmente assorbirne gli umori e in genere a tutti coloro i quali cercano un equilibrio fra toni scuri, drammatici e luci di riflesso. "Kiasma" rientrerà di certo nella vostra lista degli acquisti da fare.

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GIACOMO CASTELLANO - Cutting Bridges V2.0 Remastered

Informazioni
Gruppo: Giacomo Castellano
Titolo: Cutting Bridges V2.0 Remastered
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Red Cat Records
Contatti: facebook.com/OFFICIALGIACOMOCASTELLANO
Autore: Mourning

Tracklist
1. Gatztambide
2. L.F.L.
3. Music (Part One)
4. The Dream Laying On My Bed
5. Music (Part Two)
6. Garbage
7. Little Elves
8. Bis As A Key
9. Ariete
10. Try To Save Yr Song
11. Enviroments
12. Cutting Bridges #1

DURATA: 1:01:38

Spesso e volentieri a supportare gli artisti "pop" — che tanti adorano e altrettanti odiano — ci sono dei musicisti validissimi e che provano a ritagliarsi un proprio spazio vitale che si spinga al di fuori del ruolo di esecutore-turnista per il grande nome, fra questi va sicuramente menzionata la figura di Giacomo Castellano. Il chitarrista fiorentino è noto per aver contribuito alla causa di Vasco, Gianna Nannini, Claudio Simonetti, Gianluca Grignani, Elisa e negli ultimi anni lo si è visto in giro con una delle promesse uscite da X-Factor, parlo di Noemi. Non è però di "quel" Castellano che scrivo, bensì dell'uomo che da vita alla propria arte. Col suo progetto solista pubblicò i brani composti fra il 1991 e il 2003 in "Cutting Bridges", primo disco uscito originariamente nel 2004 per la losangelina Muso Entertainmentche che oggi rivive nella versione 2.0 rimasterizzata, prodotta dall'etichetta nostrana Red Cat Records. In questa versione l'operato dietro al mixer è stato curato dallo stesso Castellano, mentre la masterizzazione è stata affidata alle cure di Tommy Bianchi nei White Sound Studio di Scandicci.

L'album è un po' come Arlecchino, una raccolta variopinta di tessuti musicali, la summa delle voglie e delle passioni del chitarrista, che si diletta alternando con sapienza e gusto generi su generi, mantenendo così la prestazione invitante all'orecchio. Non vi è infatti la presenza di elucubrazioni strumentali esagerate, la chitarra è al servizio dei pezzi e il Nostro si diverte nel renderla rock, blues e a tinte heavy in "Gatztambide" e "L.F.L." o a farla divenire un tutt'uno con le pulsioni jazz e boogie woogie che confluiscono in "Music Part One", caratterizzata tra le altre cose dal cantato in stile "hip-hop" di Dre Love e dalle splendide impronte lasciate dal sax di Aldevis Tibaldi e dalla tromba di Vladimiro Martini. Dopo tutto questo siamo solo all'inizio...

La scaletta regala più di una soddisfazione, le prime tre tracce servono a dare la sveglia, i toni diventano leggermente soffusi, carezzevoli, tuttavia neanche tanto, infatti "The Dream Laying On My Bed", canzone nella quale appare la bellissima voce di Rossella Ruini, pur rimanendo agganciata al filone popular, sfodera una classe e un'eleganza affini al jazz e quella minima dose di caparbietà rock che la rende degna delle migliori prove di Fiona Apple. Potrei dilungarmi e continuare l'analisi traccia per traccia, ma sarebbe davvero utile?

Una virata settantiana in stile Santana racchiusa in "Garbage", il ritorno dietro al microfono della Ruini nella pura atmosfera di "Little Elves", l'indurimento del suono in direzione metallica di "Ariete": ogni singolo episodio ha il suo perché e potrei aggiungere una menzione per il lavoro di squadra fondamentale per dare un corpo e molte anime al lavoro oppure per le pregevoli prestazioni di Stefano Allegra al contrabbasso e Simone Milli con l'hammond. Infine andrebbe citato il piacevole uso della parte elettronica mai invasiva, sottolineando al contempo come la parola "eccesso" non possa inserirsi all'interno della definizione di "Cutting Bridges".

Tutto ciò vi basterebbe? Personalmente, direi di no. L'unica risposta reale ve la darà la musica, quindi se amate le belle storie, quelle che possiedono il gusto del vissuto di chi le racconta, e la sperimentazione, non perdete l'occasione di trascorrere un po' del vostro tempo in compagnia di questo disco, nell'attesa — a quanto pare breve — che ci venga dato in pasto qualcosa di nuovo. Godetevelo.

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CONCRETE BLOCK - Twilight Of The Gods


Informazioni
Gruppo: Concrete Block
Titolo: Twilight Of The Gods
Anno: 2013
Provenienza: Torino, Piemonte, Italia
Etichetta: F.O.A.D. Records
Contatti: facebook.com/concreteblockofficial
Autore: Bosj

Tracklist
1. Through The Bars
2. Death Is The Only Law
3. Kill Me If You Love Me
4. The Good Fight
5. Die Alone
6. Trust No One
7. Cunt
8. Armageddon [cover Carnivore]

DURATA: 33:18

Agnostic Front, Sick Of It All, Biohazard, Madball, Merauder. Suppergiù il percorso del NYHC dalle contaminazioni metallare riassunto dai suoi pesi massimi. Da lì poi, oltre all'infinità di gruppi meno mediaticamente esposti (Leeway, All Out War, eccetera), le varie diramazioni in tutto il mondo si sono allontanate sempre più dalla strada maestra: divertenti "cagatelle" alla Hatebreed, metalcore insostenibile pressoché ovunque e via dicendo.

Dopo aver specificato che i Concrete Block sono parte del roster della nostrana F.O.A.D., dire che la cornice entro cui si inserisce la proposta di questo quintetto di Torino è quella dei primi anni '90 e assolutamente non oltre è quasi ridondante. Anzi, per gli standard F.O.A.D., solitamente orientati sugli '80, già stiamo parlando di "roba moderna". Eppure Saverio Sgaramella gli anni Ottanta li conosce bene. Attivo da un trentennio nella scena nostrana, ha dal 2007 trovato la propria espressione musicale con i Concrete Block, che con "Twilight Of The Gods" e una formazione completamente rinnovata proseguono il discorso interrotto con il primo album "Life Is Brutal" ormai quattro anni fa. E il discorso del quintetto torinese, anche grazie alla doppia chitarra, è di quelli grossi, grossissimi, enormi, spessi così. E un buon mantra per riassumerlo potrebbe benissimo essere: "La vita ti prende a calci in faccia? Tu prendila a calci in faccia più forte." Sette brani (più una cover dei Carnivore del compianto Peter Steele) di hardcore dalle fortissime inflessioni metallare, quelle inflessioni americane lente e pesantissime che una ventina di anni fa ti aspettavi dai dischi targati Roadrunner o dai Pantera, ci dicono oggi che l'hc è vivo e pulsante più che mai, quantomeno nelle vene di Saverio e compagni.

L'autocoerenza anti-sistema (quando non proprio anarcoide) senza compromessi e spesso autodistruttiva è il fondamento che tiene in piedi questo blocco di cemento. Siamo onesti: l'atteggiamento nell'hardcore è tutto, e l'atteggiamento è vero solo se certi contesti li si vive sulla propria pelle. "Die Alone" è una storia d'amore iniziata tra gli eccessi e finita male (a detta dello stesso Sgaramella), "Kill Me If You Love Me" un figlio di puttana in cerca di redenzione, "Cunt" una groupie che affoga la tristezza della sua vita nei backstage: ciascuna delle sette canzoni è un inno alla vita di strada gridato a squarciagola in un cantato molto più vicino al metal che all'hc e suonato in pressoché perenni mid-tempo che dire monolitici è eufemistico. I passaggi più veloci in realtà non mancano, specialmente in apertura con "Through The Bars", anzi i ritmi sono al fulmicotone, ma cazzo, quei rallentamenti...

Tutti questi sette pezzi hanno profonde radici nel nord ovest della Penisola, tanto che sia nella fotografia interna al digipak sia nel libretto di "Twilight Of The Gods" è ben visibile il logo dello United Club di Torino, storico locale "estremo" del capoluogo piemontese.

Walking straight I have failed
I feel far to be ashamed
Condemned to survive
Sweat my only tool to rise
Spitting blood collecting scars
Dreaming freedom through the bars.

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AUTOPSY - Live From The Grave


Informazioni
Artista: Autopsy
Titolo: Live From The Grave
Anno: 1992
Provenienza: USA
Etichetta: Bootleg
Contatti: non disponibili
Autore: ticino1

Tracklist
1. Severed Survival
2. Hole In The Head
3. Fleshcrawl
4. Torn From The Womb
5. Bonus Track
6. Service For A Vacant Coffin
7. Embalmed
8. Destined To Fester
9. Robbing The Grave
10. Charred Remains

DURATA: 30:00 circa

Autopsy, Autopsy... sono gli americani, no? Chris Reifert era il batterista dei Death, se mi ricordo bene. È davvero così difficile trovare un disco di questo gruppo? Ovunque io domandi, il venditore mi risponde di doverlo ordinare e alla fine non arriva nulla. Bella scocciatura.

Lo scorso fine settimana, durante una scorribanda a Zurigo, ho trovato un disco live intitolato "Live From The Grave" che mi ha particolarmente ispirato con la sua copertina. La natura pirata di questo vinile mi è stata subito chiara. Tali album sono sempre da trattare con cautela; non si sa mai com'è il suono.

Beh, se non altro già questo punto mi soddisfa pienamente. Presumo che la registrazione originale provenisse dal banco di missaggio del concerto avuto luogo al Waters Club di San Pedro il 30 marzo 1991; gli strumenti si sentono tanto bene quasi quanto siamo abituati a gustarli su un prodotto inciso in studio. In particolare "Hole In The Head" è un pezzo che mi piglia fortemente, seppure la scaletta in toto sia una figata unica, l'apprezzo particolarmente nella consapevolezza che il tutto è nato davanti a un pubblico e senza aiuti tecnici di sorta. Non c'è nessun'altra occasione che permetta a una formazione di mostrare il proprio savoir-faire come su un palco.

Si tratterà pur sempre di un bootleg, ma la sua qualità non farà rimpiangere nulla al suo proprietario. Nel caso lo trovaste in un negozio, non perdetelo! Senza pensarci due volte ho registrato il tutto su cassetta e so già ora che cosa ascolterò in bus, andando al lavoro o a scuola, questo mese.

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VINTERRIKET - Zwischen Den Jahren / Entlegen


Informazioni
Gruppo: Vinterriket
Titolo: Zwischen Den Jahren / Entlegen
Anno: 2010 / 2013
Provenienza: Svizzera [in precedenza Germania]
Etichetta: Sturmklang / Heimatfolk
Contatti: vinterriket.com
Autore: Bosj

Tracklist "Zwischen Den Jahren"
1. Quatembersturm
2. Modranecht
3. Winterepiphanie

DURATA: 21:19

Tracklist "Entlegen"
1. Tal Der Trauer
2. Seelenleere
3. Entlegen
4. Sturmesnacht / Naturflimmern
5. Am Nebelweiher
6. Schattenschwärze
7. Nebel Der Verzweiflung
8. Blick In Die Dämmerung / Trauerkleid Des Abends

DURATA: 62:00

Quello di Christoph Ziegler è un nome che gli appassionati di dark ambient e certo black metal non possono non conoscere. Da oltre quindici anni, a nome Vinterriket, compone senza soluzione di continuità e rilascia un quantitativo impressionante di materiale: ep, raccolte, album completi, riuscire a star dietro al musicista tedesco è un'impresa pressoché impossibile, specialmente se si prendono in considerazione anche i suoi svariati progetti secondari. Nell'ultimo paio d'anni ha abbassato leggermente il ritmo: "solo" un dvd e due full-lenght dal 2011 ad oggi, metà 2013. "Zwischen Den Jahren" ed "Entlegen" sono rispettivamente l'ultimo ep prima di questo "rallentamento" (novembre 2010) e l'ultimo lavoro completo fresco di stampa.

"Zwischen Den Jahren" ("A cavallo tra gli anni", riferimento ai giorni che separano il Natale dal primo giorno dell'anno nuovo), al momento, è anche l'ultimo parto black metal a nome Vinterriket: nell'ultimo triennio gli sforzi di Ziegler sono stati orientati pressoché esclusivamente sul dark ambient e, proprio in tempi recentissimi con "Entlegen", su soluzioni neofolk prevalentemente acustiche. Inquadrati i due lavori, cosa peraltro mai scontata visto il piglio notoriamente poliedrico dell'artista in questione, veniamo al succo: la "formula vinterriketiana", nonostante gli anni, rimane invariata. A partire dalla confezione: come sempre i lavori sono presentati in edizioni limitate e numerate (mille copie per "Zwischen...", cinquecento per "Entlegen"), dal packaging molto curato; se "Entlegen" è un sobrio digipak, il cd di "Zwischen..." si presenta addirittura impacchettato in una custodia cartonata della dimensione di un 7'', con tre cartoline in scala di grigi, una per il testo di ciascun brano, raffiguranti paesaggi alpini innevati, marchio di fabbrica del Nostro.

La musica, a sua volta, per quanto profondamente diversa tra i due prodotti, porta la firma di Ziegler in ogni nota. "Zwischen Den Jahren" è, a mia memoria, il momento più rabbioso e lo-fi e dell'interminabile discografia di Vinterriket: nonostante i tipici momenti atmosferici e i tempi dilatati, in questi tre brani viene sfogata una furia atavica, un senso di inquietudine che perfettamente si integra con l'immaginario nebbioso, oscuro e innevato del progetto.

Nelle prime due tracce, inoltre, l'utilizzo delle tipiche tastiere che da sempre permeano la musica del Tedesco è estremamente ridotto rispetto al solito. È solo con"Winterepiphanie", il brano più lento del lotto, che si torna su lidi meno furiosi e più contemplativi. Questo è anche il momento più emotivamente coinvolgente: la sensazione di trovarsi bloccati in un passo di alta montagna sotto la tormenta non vi abbandonerà per tutto l'ascolto di questa ulteriore pennellata del musicista sulla tela dell'Inverno.

"Entlegen" ("Remoto"), d'altro canto, è probabilmente il disco più strutturato ed elaborato che abbia mai sentito da parte della one-man band, lontano anni luce dall'omogeneità di altri lavori come il precedente "Garðarshólmur". Il viaggio si apre con "Tal Der Trauer", una tipica intro di synth e tastiere molto cupa, come un cielo carico di neve, ma già dalla successiva "Seelenleere" i toni virano verso un neofolk acustico grazie alla presenza di un cantato pulito e cristallino, con le tastiere poco più che sommesso sottofondo per la gran parte dei suoi nove minuti. Solo con "Sturmesnacht / Naturflimmern" si torna a lambire le coste del dark ambient che ha reso celebri le opere di Ziegler, dove i sussurri del vento condividono il palco con i sussurri del musicista. Tutto il lavoro si alterna lungo questi binari: un po' neofolk, un po' dark ambient; un po' dark ambient, un po' neofolk.

Va da sé che per tutta l'ora abbondante in cui "Entlegen" ci accompagna non c'è assolutamente nulla di nuovo, niente che Vinterriket non abbia già detto, ridetto e ripetuto: se non apprezzate quanto seminato lungo questi tre lustri di carriera dal polistrumentista, non c'è verso che possiate cambiare la vostra opinione. Eppure, come sempre accade quando ci si confronta con il suo operato, sia esso l'ennesimo lavoro black metal, l'ennesimo lavoro acustico o l'ennesimo lavoro ambientale, non si può che prendere atto della bravura e della maestria di una realtà consolidata all'interno del proprio genere di appartenenza, della intaccabilità di un estro artistico che ha reso il progetto del musicista trasferitosi sulle Alpi svizzere un caposaldo per tutti coloro che si cimentano in generi a lui correlati. Perché Cristoph Ziegler, in arte Vinterriket, ha trovato la formula per mettere in musica la ferocia, la desolazione, la solitudine, la potenza e l'oscurità della Montagna.

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ROTORVATOR - I Vivi E I Morti


Gruppo: Rotorvator
Titolo: I Vivi E I Morti
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Crucial Blast
Contatti: rotorvatorblack.blogspot.it
Autore: 7.5-M

Tracklist
1. Ad Sanctos
2. Domenica
3. L'Eternità
4. I Morti
5. In Limine
6. Facing West
7. Humming Bones

DURATA: 34:04

Si aspettava da molto il primo disco completo dei Rotorvator, quello dove ci sia il tempo necessario per accorgersi di tutto ciò che fanno, suonano, incarnano, nel bene e nel male. Questo momento è arrivato e tratta de "I Vivi E I Morti". Nelle parole c'è sempre un senso, un riferimento a qualcosa di reale. I vivi ed i morti sono un'opposizione che comprende tutto e tutti: i passati, i presenti, i futuri. I Rotorvator vogliono comprendersi tutti in questo titolo, riassumersi sia come passati, presenti vivi e futuri morti.

Nonostante l'apparenza sperimentale il risultato creativo dei Rotorvator conserva ancora le caratteristiche fondamentali d'un lavoro classico. Classico perché composto d'ogni elemento che classico ci pare: una composizione mai slegata dal black, dall'elettronica, dal down-tuning, dalle tastiere, dagli arpeggi, dallo scream, dai filtri e dagli organi. Ma la questione veramente interessante è un'altra e si potrebbe sentire esplicitamente in un punto preciso di questo lavoro, dopo circa due minuti e mezzo di una "Domenica": la questione è d'essere disposti a gettare tutti questi elementi classici in pasto ad un corpo uniforme che può fare a meno di tutti i suoi arti, parti costitutive ed appendici. Rigettare tutto se stesso. Nella sostanza tutto quello a cui i Rotorvator si riferiscono, quello a cui si rifanno, il luogo della loro origine, ci sfuggono. Ci sfugge tutto dei Rotorvator. La cosa che non ci può sfuggire e che non dobbiamo farci sfuggire: è unica sia la loro libertà nel trattare la loro tradizione, sia il loro legame indissolubile con questa stessa tradizione. Non possiamo leggere i Rotorvator senza la loro origine e dobbiamo leggerli indipendentemente da essa.

Sono degli outsider, dei marginali. Sono quelli che stanno nelle periferie, quelli che trattano tutto con le loro mani, senza farsi dire come trattare la realtà che gli arriva dal centro. Il loro centro di irradiazione sono loro stessi. Si scompongono, come dei veri marginali, si ricompongono nell'affrontare, senza arti né parti, la realtà che ingoiano solo con i denti ben aperti ad afferrare tutto. I Rotorvator hanno dei denti marci e saldissimi, vivi e morti insieme!

Dalle periferie scaturiscono le trasformazioni vere, come le ingenuità più sincere. I Rotorvator sanno che tutto questo è parte del loro stile. Ed allora possiamo dire senza orrore, con l'estremo piacere della sorpresa: "Splendido POP quel "Facing West"! Che bello quell'affacciarsi all'occidente!". Tutto il rock, il pop anni '90, l'elettronica Kraftwerk-Ciber-Daft-Punk, l'heavy metal, il trip-hop, l'et cetera d'un occidente musicale d'un ventesimo e unesimo secolo. Tutto questo ingurgitato dalle chitarre, dai lap-top, dalle voci distorte, da quella sincerità senza fronzoli, ruvida, che dice le cose come stanno per la bocca che le dice.

Ne "I Vivi E I Morti" i Rotorvator arrivano dove devono arrivare: riempire uno spazio che nessuno, tranne loro, sarebbe stato in grado di riempire in un mondo musicale limitato. Lo spazio che sta fuori dal centro dell'attenzione, dell'approvazione, della onni-comprensione di tutto quello che si uniforma ad un modello. Loro vengono dall'esterno, dai margini, conoscono tutti i vizi, le virtù dell'occidente, dei modelli, dei centri e ne fanno benissimo a meno, ma con più forza, perché vi si oppongono: divorandoli! Storpiandoli con la loro stessa lingua!

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LOWBAU - A Darker Shade Of Blues


Informazioni
Gruppo: Lowbau
Titolo: A Darker Shade Of Blues
Anno: 2013
Provenienza: Austria
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/LOWBAU
Autore: Mourning

Tracklist
1. 13
2. The Prosecution Rests...
3. Order Of The Bull
4. Modern Day Alchemist
5. A Million Years Of Rain
6. Grounded
7. The Theft Of Time
8. The Maestro
9. Alcoholic
10. Coming Down On Wisdom
11. Nanny
12. Moneyfest
13. A Darker Shade Of Blues

DURATA: 01:12:01

I Lowbau sono un quintetto austriaco che ha tratto il proprio nome dalla Lobau, una pianura alluvionale situata nella zona a nord del Danubio, americanizzandolo con l'aggiunta della "w" e dando così quel tocco da "southern U.S.A." che identifica in maniera perfetta lo stile di musica da loro suonato. Sorti nel 2006 per volere del chitarrista e seconda voce Wolfgang Ebner, avevano rilasciato sinora un solo ep nel 2009 intitolato "The Ep", il primo grande passo è quindi avvenuto in questo 2013 con l'uscita del debutto "A Darker Shade Of Blues".

Una volta entrato in circolo nell'orecchio, il disco non potrà fare a meno di ricordarvi quanto siano state e siano importanti tuttora le formazioni "anselmiane" (Pantera e Down) e quanto i Kyuss siano fondamentali per chiunque ami un certo tipo di musica, mentre Corrosion Of Conformity e Alabama Thunderpussy si uniscono al quadro dei riferimenti papabili. Inoltre diverrà palese come si possa realizzare un buonissimo album senza dover forzare né pretendere chissà quale invenzione. Le armi a disposizione del quintetto difatti sono note e facilmente ricollocabili, ma le idee in loro possesso vengono esposte, sia per ciò che concerne l'esecuzione che l'atmosfera, in maniera convincente. Sono capaci di trasmettere quel feeling blues alcolico che "ci piace" e di rendere maggiormente aggressiva la proposta grazie alla prestazione vocale di DeGuyten, discretamente vario nell'impostazione e in più di una circostanza similare nell'approccio a Chad Gray dei Mudvayne, con l'aggiunta di un paio di rimandi quasi ovvi alla figura di Anselmo e altri che potrebbero far pensare a Ryan McCombs (Soil e Drowning Pool).

Non manca nemmeno la dovuta mole di groove nell'aria, che addensa e fortifica l'impatto dei pezzi. In effetti la scaletta non ha momenti di vuoto e formalmente ci rifila delle mazzate (si veda l'apertura a bomba di "The Prosecution Rests..."), pezzi che sfruttano una carica ribelle pura ("Grounded"), ma anche aperture solistiche indovinate e una notevole emotività (come avviene in "A Million Years Of Rain"). Siamo solo a metà del percorso, tuttavia pare evidente che i Lowbau sappiano chiaramente quale sia la via da intraprendere e ne conoscono il percorso talmente bene che raggiungerne il fondo passando per i capitoli successivi ("The Theft Of Time", "Alcoholic", "Nanny" e "Coming Down Of Wisdom"; stupenda in quest'ultima l'intrusione di armonica a bocca che anticipa l'ennesima escursione solistica) diviene una passeggiata salutare e altamente scapocciante, conclusa dall'avvento della lunga titletrack posta in coda.

Cosa non va? In pratica nulla, forse, e dico forse, settantadue minuti totali da ingerire in un'unica botta sono un tantino esagerati, tenendo però conto che sinora sono finiti per ben due volte nello stereo e sono quasi certo che la terza stia per scattare, quell'aspetto è sicuramente oltrepassabile. Di certo lo è se accompagnato da una buona dose di alcol.

Quando si parte col piede giusto si è a metà dell'opera? I Lowbau sono la riprova che tale modo di dire ha un senso. Il loro "A Darker Shade Of Blues" è prodotto in maniera impeccabile ed è un'ottima compagnia da viaggio: che aspettate quindi a far conoscenza con questi austriaci? Alzate il volume e godeteveli.

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KINGS DESTROY - A Time Of Hunting


Informazioni
Gruppo: Kings Destroy
Titolo: A Time Of Hunting
Anno: 2013
Provenienza: U.S.A.
Etichetta: War Crime Recordings
Contatti: facebook.com/KingsDestroy
Autore: Mourning

Tracklist
1. Stormbreak
2. The Toe
3. Casse-Tete
4. Decrepit
5. Shattered Pattern
6. A Time Of Hunting
7. Blood Of Recompense
8. Turul

DURATA: 45:31

Ci sono band che fin dal primo album ti fanno capire che potrai continuare a contare su di loro e quindi speranzoso ne attendi le successive uscite. In mezzo alla miriade di ottimi lavori doom prodotti nel 2010 vi era anche quello dei newyorchesi Kings Destroy, "And The Rest Will Surely Perish": il gruppo al tempo mi aveva ben impressionato tanto che ne consigliai, e ne consiglierei tuttora, l'acquisto. Oggi, a distanza di tre anni, ho l'occasione di poter scrivere di "A Time Of Hunting", il loro secondo lavoro in studio.

Sin da subito e senza pormi troppi problemi asserisco che siamo di fronte a un altro disco di buonissima fattura: è palese che il quintetto, in formazione quasi del tutto immutata rispetto alla prima uscita (fatta esclusione del bassista Ed Bocchino, sostituito con Aaron Bumpus), abbia mantenuto in maniera coerente il legame con le basi che lo hanno reso appetibile in passato. Ma con un nuovo piglio: l'ultimo lavoro in generale spinge un po' meno in "direzione metallica", rivolgendo con assiduità lo sguardo verso sonorità più rock.

In più di una circostanza le atmosfere di Steve Murphy rimandano a quelle grunge di band come gli Alice In Chains o, per essere più specifici, a quel suono più pesante e ossessivo dei lavori solisti di Cantrell; per brevi istanti inoltre sembra di poter udire, seppur distanti, echi "tooliani", che coniugandosi al blues / southern e alla rocciosa corporatura doom non fanno altro che arricchire il lavoro presentato in questo "A Time Of Hunting".

La scaletta è equilibrata e priva di anelli deboli: tuttavia, a differenza di quanto accadeva nel loro lavoro precedente, nessun brano si erge prepotentemente al di sopra dei valori offerti dagli altri. Questo può essere dovuto soprattutto alla scelta di mantenere la sezione ritmica a un regime motore dai giri moderati e alla volontà di rendere la proposta più intensa e ampia, a discapito della componente d'impatto diretto quasi del tutto estraniata dal contesto.

I Kings Destroy hanno dato alle stampe un album per soli seguaci sfegatati di questo panorama? Gli appassionati del genere sicuramente non dovrebbero mancare l'ascolto di questo secondo parto degli statunitensi: non credo però si possa relegare un così bel lavoro a una nicchia ristretta di ascoltatori. Non si può pretendere di più da una band che pare avere nel DNA la capacità di garantire musica di qualità e dare soddisfazione dopo aver inserito un loro lavoro in uno stereo.

"Turul" si fa nuovamente strada all'interno dei miei padiglioni auricolari, portando a conclusione il terzo round trascorso in compagnia di "A Time Of Hunting": sono quasi pronto a far a ripartire il lettore per il quarto giro consecutivo. E voi che intenzioni avete?

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SHININ' SHADE - Sat-Urn


Informazioni
Gruppo: Shinin' Shade
Titolo: Sat-Urn
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Moonlight Records
Contatti: facebook.com/pages/SHININ-SHADE/169113931530
Autore: Dope Fiend

Tracklist
1. Our Time And Space
2. Keyhole / Inner Saturn
3. Over-Sea Nightmares
4. Through The Wires Of Your Mind
5. Nowhere Dimension
6. Denied Lovers
7. Epic Talking

DURATA: 48:10

Avevamo lasciato gli Shinin' Shade nel 2011 con la recensione del debutto omonimo e li ritroviamo oggi, a più di due anni di distanza, con un nuovo album intitolato "Sat-Urn". Forte della pubblicazione di un EP intermedio nel 2012 e dell'aggiunta di Jane-Esther Collins dietro al microfono, il quintetto parmigiano si ripresenta a noi potenziato, più maturo e fortemente evoluto nella personalità. Le radici della proposta non sono mutate, ma sono state inglobate all'interno di uno spettro artistico più ampio e, permettetemi di affermarlo, più consapevole.

Si para dinanzi a noi, in "Our Time And Space" e nella splendida "Through The Wires Of Your Mind", una costruzione edificata sulle solide fondamenta di un riffing indiscutibilmente Doom, un riffing tanto debitore ai classici Black Sabbath quanto efficace nel coniugare influenze Stoner, momenti di sinuosa psichedelia d'alta scuola e sentori di Rock occulto. Compagini come Jex Thoth e Blood Ceremony divengono oltretutto inevitabili pietre di paragone in virtù della voce di Jane, la quale impatta sull'andamento musicale sempre con la propensione adatta, qualunque sia l'umore evocativo del momento.

Un altro punto focale dell'album è senza dubbio il drappo scuro che riveste pezzi come "Keyhole / Inner Saturn" e "Nowhere Dimension" in cui tratti orrorifico-sacrali sembrano fare capolino all'interno di lentissimi, esoterici e avvolgenti percorsi musicali, nei quali è facile individuare tratti Dark tipici dei maestri del Doom italico. In "Over-Sea Nightmares" e "Denied Lovers" ci possiamo invece confrontare con un'anima doomica unita a movenze che non si fanno pregare per tradire le proprie radici settantiane (il nome Blue Cheer vi dice qualcosa?), movenze ormai conosciute a menadito (e sempre fottutamente ben accette, sia chiaro) da ogni appassionato di Doom, di psichedelia occulta e di viaggi astrali. Tocco di classe, la voce di Jane ricorda a volte quella della suadente strega Jinx Dawson che evoca demoni e infernali regnanti di ogni sorta.

Non vi ho ancora convinti? Allora vi lascio l'ultima ciliegina sulla torta che prende il nome di "Epic Talking", un concentrato di pura psichedelia esoterico-astrale da togliere il fiato, una bomba di lisergia cosmica che, in un continuo rincorrersi di sensazioni mistiche e fisiche, chiude il disco in bellezza. E noi rimaniamo lì, a vagare in un universo illimitato da cui forse non faremo ritorno, ma nel disgraziato caso in cui ciò succedesse gli Shinin' Shade saranno di nuovo pronti a riportarci immediatamente indietro.

E allora che cosa cazzo state aspettando, signori miei? Portatevi a casa questo disco, credetemi, con tutto il cuore: di capolavori come "Sat-Urn" non ne escono mica tutti i giorni, sapete!

...Close your eyes, go in a trance
become one with universe, the great masters surround you
let your darkness burn in the live flame...

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LAST WINTER I DIED - Erensyrah


Informazioni
Gruppo: Last Winter I Died
Titolo: Erensyrah
Anno: 2013
Provenienza: Italia
Etichetta: Le Crepuscule Du Soir Productions
Contatti: facebook.com/LastWinterIDied
Autore: Insanity

Tracklist
1. The Quest
2. The Elusive Cliffs Of Erensyrah
3. A View Of The Ancient City
4. Below The Horizons
5. The Artifact
6. Unquiet Sea Of Dreams
7. Sirenade
8. Summer Reveries
9. A Call, A Death
10. Recolective (A Ghost)
11. Strange Twilight
12. How Things Turn
13. Weeping Stars

DURATA: 43:13

È passato circa un anno da quando vi parlai di "Visions From A Thousand Lives" di Dead Summer Society, il nuovo progetto solista di Mist degli How Like A Winter. Il 2013 vede la nascita di una nuova entità chiamata Last Winter I Died (che è anche il titolo di un brano del disco appena citato), in cui il musicista molisano si cimenta in uno stile differente ma sicuramente legato a quello delle altre realtà a cui ha partecipato.

"Erensyrah", questo il titolo del debutto, ci trasporta infatti in un altro mondo, una dimensione che può sembrare lontana che però, a conti fatti, è "semplicemente" la nostra anima: questo è l'obiettivo del progetto, ed il mezzo tramite cui raggiungerlo è un Ambient che segue la scia di altri personaggi del mondo Metal dedicatisi a side-project sul medesimo genere, specialmente il Mortiis dei primi lavori. Lo stile è sinfonico, a tratti pomposo ma senza mai esagerare; volendo potremmo dire che questo è Dead Summer Society spogliato di ogni riferimento al mondo metallico, dal quale emerge in tutta la sua maestosità l'anima puramente Gothic di Mist: gli arpeggi di "Strange Twilight" e "Sirenade" e l'uso delle tastiere sono caratteristiche presenti in entrambe le realtà. Possiamo trovare, inoltre, un uso dell'elettronica maggiore (sebbene per niente invasivo) che si palesa raramente sotto forma di percussioni, più spesso nei sintetizzatori che in alcuni passaggi sembrano presi in prestito dalla Kosmische Musik.

Ciò che però rende forte un disco che, in fondo, non propone nulla di nuovo, è la capacità di centrare il bersaglio: il viaggio all'interno di noi stessi è un'esperienza da provare nella modalità suggeritaci dalla mente di questa musica, ovvero a occhi chiusi e con la sola anima a farci da guida nei suoi stessi meandri. Le note di pianoforte accompagnate dalle tastiere orchestrali di "Summer Reveries", le sperimentazioni vicine all'elettronica più atmosferica in "How Things Turn", la solennità di brani quali "Below The Horizon" e "Weeping Star": non vi nascondo che in più di un'occasione mi sono trovato isolato dal mondo circostante, non è una situazione che tutti riescono a ricreare, eppure in questo caso tutto sembra essere decisamente naturale.

Purtroppo per me, il mio lavoro di critico musicale — unito al fatto di essere nell'ambiente della produzione musicale — mi spinge ad esaminare anche il lato tecnico di "Erensyrah", ed è qui che posso trovare l'unica, piccola pecca del lavoro: le percussioni hanno suoni che sanno un po' troppo di plastica, il rischio è che in un album di questo tipo l'atmosfera venga in parte rovinata. Non preoccupatevi comunque, è un difettuccio che molti nemmeno noteranno, anche perchè la batteria è utilizzata in pochissimi passaggi.

Certamente è un album che necessita di essere ascoltato da una mente disposta ad essere esplorata per essere goduto al massimo; è anche vero che non si tratta di un genere di così difficile ascolto, effettivamente potrebbe funzionare bene anche come sottofondo mentre vi dedicate a qualche lavoro (per quanto il coinvolgimento emotivo sarebbe ovviamente inferiore). Se ormai, come me, vi fidate ciecamente dei lavori di Mist, non lasciatevi assolutamente scappare il mondo di "Erensyrah".

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VEIA / SORTILEGUS - Consecutio Temporum



Informazioni
Gruppo: Veia / Sortilegus
Titolo: Consecutio Temporum
Anno: 2012
Provenienza: Italia
Etichetta: Ogre Records
Contatti: Bandcamp Veia - Facebook Veia - Facebook Sortilegus
Autore: Akh.

Tracklist
1. Veia - Canto Di Battaglia
2. Veia - Culla D'Italia
3. Sortilegus – Spleen
4. Sortilegus - Transylvanian Forest

DURATA: 22:24

Oggi ci inoltriamo nelle viscere dei sotterranei metallici più puri, andando ad analizzare lo split fra due giovani gruppi che si orientano senza mezzi termini nei meandri profondi del Black Metal: più Raw e dalle tinte liriche Pagan i Veia (che prendono il nome dalla famosissima città-stato etrusca fra Toscana e Lazio), più classicamente norvegese la proposta dei Sortilegus.

Le danze le aprono i Veia con "Canto Di Battaglia", brano che sia per produzione che taglio della scrittura appare immediatamente affilato e aspro, il suono della drum machine forse penalizza un po' il tutto, risultando troppo meccanico e freddo; trattandosi però della prima uscita del gruppo, Haruspix Heliogabalus sicuramente ne farà tesoro per il prossimo lavoro. In definitiva, nonostante certi difettucci, un brano piacevole per chi è abituato al vetriolo di certo underground. Il riffing dal canto suo è asciutto e non lascia molti margini alla melodia spiccia, per quanto risulti molto mimale in alcuni casi, come succede in "Culla D'Italia" dove regna un particolare equilibrio fra la chitarra e il basso. Purtroppo non sempre sono riuscito a decifrare la proposta, vuoi per i suoni scelti vuoi per certi arrangiamenti negli stacchi che sarebbero dovuti essere più omogenei. Ad ogni modo probabilmente gli amanti di Ildjarn e affini apprezzeranno queste scelte. Molto ficcante e con un certo piglio distorto infine la voce, un vero paletto acuminato che possiede un taglio sinceramente estremo e a mio avviso potrebbe essere una buona base per il futuro prossimo.

Curioso il fatto che ci sia poca inclinazione a sperimentare il lato più folk? Ho chiesto al diretto interessato e mi ha spiegato che alcuni fiati etnici verranno inseriti per avvalorare maggiormente le tinte "esoteriche" e folkloristiche dei contenuti etruschi che vengono trattati, prendendo come musa ispiratrice certa musica dei Kawir. Attendiamo quindi fiduciosi i progressi di questo progetto che andrebbe seguito almeno per la convinzione e l'atipicità della proposta concettuale di nicchia.

Nella seconda parte dello split i Sortilegus mostrano due facce: da un lato la strumentale "Spleen" è maggiormente varia e dai tratti visionari quasi surreali per un gruppo black metal, riportandomi alla mente certe prime opere di Green Carnation e In The Woods... per l'approccio quasi progressivo; dall'altro lato in "Transilvanian Forest" esce allo scoperto il più puro spirito crudo del black metal, in linea con certi Darkthrone epoca "Transilvanian Hunger", le chitarre sono taglientissime e la produzione a volte si satura in eccesso, risultando così ostica per i "mosci" che non masticano questo tipo di scudisciate acustiche. Il brano in sé ha un gran tiro, essendo molto intenso sia nella proposta che nella interpretazione al limite dell'esasperato, il risultato sarebbe quello di un "Nattens Madrigal" degli Ulver sporcato ulteriormente nella produzione, ma mantenendone inalterato lo spirito primitivo.

La direzione sonora legata a Sortilegus è quindi sdoppiata ed entrambe le vie possiedono qualcosa di buono in seno, andrà ora compreso cosa Winter vorrà realizzare in futuro, magari riuscirà ad amalgamare al meglio le proprie influenze, andando incontro a suoni maggiormente Fleurety o Forgotten Woods, ma questo è ancora presto per poterlo dire.

In definitiva "Consecutio Temporum" è uno split dal taglio ruvido e feroce che fa uscire dalla tana due gruppi con ampi margini di miglioramento, è un lavoro che si dovrebbe possedere se si è estremisti del più radicale underground e che propone due complessi da rivalutare in futuro, in quanto potrebbero veramente sviluppare qualcosa di interessante e personale. Se non avete "correlazione dei modi", provate con i Veia e i Sortilegus, magari riusciranno ad ampliarvi certi orizzonti.”

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CONNY OCHS - Black Happy

Informazioni
Gruppo: Conny Ochs
Titolo: Black Happy
Anno: 2013
Provenienza: Germania
Etichetta: Exile On Mainstream
Contatti: facebook.com/pages/Conny-Ochs/112536815501097
Autore: Mourning

Tracklist
1. Exile
2. No Sleep Tonight
3. Die In Your Arms
4. Faces In The Crowd
5. Stable Chaos
6. Trust In Love
7. Borderline
8. Phantom Pain
9. Lead-Out
10. Blues For My Baby
11. Mouth

DURATA: 27:23

Il cantautore tedesco Conny Ochs si era fatto notare nel recente passato per un intrigante debutto intitolato "Raw Love Songs" (2011) e per la collaborazione con lo storico Scott "Wino" Weinrich (nome che al solo pronunciarlo un amante del doom sobbalza) da cui scaturì il disco "Heavy Kingdom" nei primi mesi del 2012. Il 2013 è l'anno del ritorno in qualità di solista e la Exile On Mainstream, etichetta connazionale che lo aveva supportato per l'uscita d'esordio, ne pubblica il secondo lavoro "Black Happy".

Il sorriso amaro racchiuso nei pezzi non potrebbe identificare meglio ciò che il titolo dell'album sembra voler rappresentare: l'apprezzamento della malinconia di un vissuto nel cui grigiore risaltano sprazzi di lucentezza. È un contatto reale, ridotto all'osso, in cui sono chitarra e voce a dominare la scena; da questo connubio tanto elementare quanto affascinante, l'artista tedesco riesce a tirar fuori undici brani per neanche mezz'ora di musica complessiva che lasciano delle ferite emotive profonde. Non tanto dolorose, quanto significative del tentativo, andato a buon fine, di voler entrare in contatto con la parte più intima e introspettiva dell'essere.

Il minimalismo è desolante, l'angoscia e gli attimi di dolcezza si impastano smisuratamente: la straziante apertura di "No Sleep Tonight", il modo in cui l'anima da rocker sofferente affronta il proprio dolore in "Stable Chaos" e "Borderline" e la conclusiva "Mouth", che si concede l'intrusione dell'armonica a bocca a sostegno di quella perseverante sensazione di solitudine che in lungo e in largo attraversa il disco, sono lì a testimoniare che Conny in questo lavoro ha messo tutto se stesso.

La creatura di Ochs probabilmente dividerà le opinioni, venendo apprezzata in maniera viscerale da coloro i quali si nutrono di questa visione cantautorale semplice e alquanto "terrena", o massacrata da quelli che invece collegano a questo tipo di lavoro una mancanza di idee e una scelta "filo-intelletualoide" retrò ingiustificata (idea alquanto balzana, mi auguro poi che a muovere tale critica non siano le stesse persone capaci di alimentare miti di cartone come Il Teatro Degli Orrori, Baustelle e Le Luci Della Centrale Elettrica).

È inutile perdersi troppo in parole, è preferibile gettarsi nell'ascolto di "Black Happy". Il lavoro è una dedica appassionata rivolta a chiunque ami il rock, il blues e certe atmosfere della piovosa Seattle; dopo averlo incrociato, potrete raccontarvi e raccontare ciò che vi è stato donato, o meno, dalle sue note.

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ALICE IN CHAINS - The Devil Put Dinosaurs Here


Informazioni
Band: Alice In Chains
Titolo: The Devil Put Dinosaurs Here
Anno: 2013
Provenienza: Seattle, U.S.A.
Etichetta: Capitol
Contatti: aliceinchains.com
Autore: LordPist

Tracklist
1. Hollow
2. Pretty Done
3. Stone
4. Voices
5. The Devil Put Dinosaurs Here
6. Lab Monkey
7. Low Ceiling
8. Breath On A Window
9. Scalpel
10. Phantom Limb
11. Hung On A Hook
12. Choke

DURATA 67:23

Gli Alice In Chains sono stati senza dubbio uno dei gruppi più popolari del cosiddetto fenomeno grunge fino alla metà degli anni '90, poi è successo quello che ormai sanno anche i sassi. Non sono molti i casi in cui una band riesce a rimettersi in piedi — con successo — dopo la perdita di un personaggio importante come il cantante Layne Staley. La storia del nuovo corso di Cantrell e soci è nota ed è stata sviscerata più di una volta in occasione del precedente disco "Black Gives Way To Blue", mi sembra giusto in questa sede concentrarsi sul nuovo album per quello che è: un riuscito seguito di quanto sentito nel 2009.

Il titolo del disco, "The Devil Put Dinosaurs Here", cita la credenza secondo cui il demonio abbia sparso resti di dinosauri in giro per il mondo per mettere alla prova la fede nella creazione divina. Il gioco è ripreso dalla copertina, in cui teschi di diversi dinosauri si combinano attraverso effetti ottici, facendo così intravedere la sagoma di Satana.

Jerry Cantrell è, come sempre, la mente compositiva del complesso e di nuovo è riuscito a spargere molti riff di peso nell'arco dell'album: "Stone" e "Phantom Limb" sono, a mio avviso, tra i picchi in questo senso dell'intera produzione cantrelliana. La doppia voce, che era stata uno dei marchi di fabbrica del gruppo anche durante gli anni '90, torna ancora una volta con Cantrell e DuVall ad alternarsi nel compito (come nella titletrack). Lo stile, insomma, è riconoscibilmente quello cui gli Alice In Chains ci hanno abituato negli anni, pur non suonando troppo "novantiano".

Se con "Black Gives Way To Blue" la band aveva trasportato il proprio suono nel nuovo secolo con consapevolezza, con "The Devil Put Dinosaurs Here" conferma di essere ancora ampiamente in grado di comporre musica di spessore.

Da dire che sessantasette minuti possono essere tanti, per quello che a conti fatti è un disco hard rock / metal con qualche momento acustico. I fan del vecchio corso potrebbero lamentare una diversa carica emotiva, rispetto ai dischi degli anni '90, ma personalmente sono dell'idea che gli Alice In Chains attuali suonino esattamente come "dovrebbero" negli anni '10.

In definitiva, è un disco che gli ascoltatori della band e del genere molto probabilmente apprezzeranno. Un album senza particolari sorprese o delusioni, ben composto ed eseguito. Sostanzialmente, un'ulteriore conferma delle qualità compositive di Jerry Cantrell, estremamente a suo agio in questi territori musicali.

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ALICE IN CHAINS - The Devil Put Dinosaurs Here [english version]


Information
Band: Alice In Chains
Title: The Devil Put Dinosaurs Here
Year: 2013
From: Seattle, USA
Label: Capitol
Contacts: aliceinchains.com
Author: LordPist

Tracklist
1. Hollow
2. Pretty Done
3. Stone
4. Voices
5. The Devil Put Dinosaurs Here
6. Lab Monkey
7. Low Ceiling
8. Breath on A Window
9. Scalpel
10. Phantom Limb
11. Hung on A Hook
12. Choke

RUNNING TIME: 67:23

Alice In Chains has been one of the best-known bands during the so-called grunge era up to the mid-nineties, before coming to a tragic stop because of what we all know. There are not that many bands that managed to go on — successfully — after losing such an important piece as the vocalist Layne Staley. The story of Cantrell's decision to revive the name Alice In Chains has been thoroughly examined at the time of their previous effort "Black Gives Way To Blue", I want to focus here on the new album, taking it for what it is: a good sequel to what the band put out in 2009.

The new album's title, "The Devil Put Dinosaurs Here", ironically quotes the belief according to which the devil left dinosaur bones around the globe to test people's faith in divine creation. This idea is further developed in the artwork where, by combining the skulls through visual effects, you can see Satan’s head.

Jerry Cantrell is, as usual, the main composer in the band and once again managed to place many solid riffs throughout the album: "Stone" and "Phantom Limb" are, in my opinion, among the most outstanding in all of Cantrell's production in this respect. The double leading vocals (one of the band's main features in the '90s as well) are back with Cantrell and DuVall sharing singing duties (as in the title track). The style, in short, is what Alice In Chains got us used to through the years, nevertheless managing not to sound too "nineties".

With "Black Gives Way To Blue" the band successfully brought their music into the new century, "The Devil Put Dinosaurs Here" works as a confirmation that they are still perfectly capable of composing consistently good music.

Still, sixty-seven minutes might feel a tad too long, for what is after all a hard rock / metal album with some acoustic bits here and there. Old fans might find this album lacking some emotional drive, compared to their '90s works, but I believe that present Alice In Chains sounds exactly as it "should" in the '10s.

In conclusion, this is an album that fans of this band and of the genre will be likely to appreciate. An album without many surprises or let-downs, well-composed and performed. Yet more proof of Jerry Cantrell's composing skills, showcasing his extreme familiarity with these musical territories.

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ALTAAR - Altaar


Informazioni
Gruppo: Altaar
Titolo: Altaar
Anno: 2013
Provenienza: Norvegia
Etichetta: Indie Recordings
Contatti: facebook.com/altaarnorway
Autore: VACVVM

Tracklist
1. Tidi Kjem Aldri Att
2. Dei Absolutte Krav Og Den Absolutte Nåde

DURATA: 34:12

Nati come espressione solistica di Andreas Tylden, già attivo negli heavy metallers Thunderbolt e nei ben più cupi One Tail, One Head, gli Altaar si sono progressivamente trasformati in un gruppo vero e proprio che vede fra le proprie file musicisti di varia estrazione: da Sten Ove Toft, sound artist discreto e avvezzo a contaminazioni noise e industrial, a Didrik Telle ed Espen Tørressen Hangård, coinvolti in gruppi estremi del sottobosco norvegese.

"Dødsønke", l'esordio dei Nostri ormai risalente al 2009 (e autoprodotto), era una grezza commistione di doom e black metal, con incursioni elettronico-rumoristiche acerbe per non dire scontate, in cui però si intravedeva l'embrione che avrebbe portato alla nascita di questo primo album (dalla durata esigua) bi-traccia. Quelli che sull'ep risultavano maldestri e avulsi tentativi di sperimentazione sonora su "Altaar" cambiano forma, come camaleonti si mimetizzano nelle più canoniche tessiture doom, materia prima di cui Tylden non può e non deve fare a meno. È indicativo di questa nuova e sostenibile convivenza il fatto che gli attacchi dei due brani mostrino esattamente le due anime espressive di cui sopra, dapprima facendole procedere in solitaria e poi accorpandole, come se fosse la cosa più naturale del mondo. Così "Tidi Kjem Aldri Att" comincia doom, con un retrogusto che sa di rock, e finisce col farsi sorreggere da un fondo strisciante di droni, oscillazioni e percussioni tombali; mentre "Dei Absolutte Krav Og Den Absolutte Nåde" parte da quel fondo, meno tetro e più isolazionista, per introdurre l'episodio più pesante e sofferente di "Altaar", impreziosito da alcune linee vocali incastonate tra arpeggi solenni e inattesi blast beat.

È indubbio che la Indie Recordings abbia ulteriormente arricchito il proprio roster, assicurandosi la stampa di questo gioiellino della durata che supera di poco la mezz'ora; così come è indubbio che gli Altaar si siano trasformati in una realtà da tenere d'occhio, sperando che diano presto seguito a quanto di buono hanno saputo produrre finora.

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BREED OF SCORN - Antitype


Informazioni
Gruppo: Breed Of Scorn
Titolo: Antitype
Anno: 2012
Provenienza: Germania
Etichetta: Rebirth The Metal Productions
Contatti: facebook.com/breedofscorn
Autore: Mourning

Tracklist
1. Prolog
2. Subtle Warfare
3. Feel The Pressure...
4. Self-Awareness
5. Sons Of Scorn
6. Replikeet
7. Locked Inside
8. An Automatic Sentiment
9. Nemesis

DURATA: 40:50

I Breed Of Scorn sono una nostra vecchia conoscenza che sul finire del 2012 ha partorito la propria seconda uscita ufficiale. A distanza di tre anni dalla pubblicazione del debutto "Zero Point Mantra" è stato rilasciato "Antitype" e ancora una volta l'operato dietro alla consolle del mixer è stato affidato a V. Santura (Dark Fortress e Tryptikon), facendo intendere di voler dare continuità in tutto e per tutto al progetto. Il disco, come del resto il suo predecessore, possiede una produzione corposa e abbastanza delineata nei suoni e propone un death metal robusto e dai tratti anneriti, che però vede spiccare fra i difetti una sezione ritmica che — per quanto prestante — avrebbe beneficiato di un dinamismo più spiccato.

Spiace constatare che i tedeschi non sono ancora in grado di oltrepassare la zona da sufficienza scolastica nella quale sono bloccate molte band che devono ancora dimostrare tanto, nonostante buonissimi episodi come "Locked Inside" e "Nemesis" (cantata in madrelingua), diretti ed efficaci ma al contempo con frangenti più neri e grevi. Nemmeno la sezione evocativa in voce pulita di "Subtle Warfare" e una sorta di omaggio-citazione di "Another Brick In The Wall" dei Pink Floyd in "Feel The Pressure" sono sufficienti a elevare i Breed Of Scorn, così come non bastano il buon feeling melodico del pezzo appena citato, di "Sons Of Scorn" e "An Automatic Sentimeent" (una sezione del brano ricorda non poco "Under A Serpent Sun" degli At The Gates) o la crescita della visione d'insieme del progetto.

Sebbene il gruppo possieda le carte in regola per comporre un album che si spinga aldilà della sufficienza (comunque gradevolissima), un brano poco convincente come "Self-Awareness" o l'approccio comune a molte uscite già in circolazione da tempo fanno permanere quella sensazione di passo avanti compiuto soltanto a metà.

In fin dei conti però "Antitype" è aggressivo, è un lavoro che le sue dosi di "scapocciate" riesce a regalarle e al quale non negherei l'ascolto, staremo quindi a vedere se i Breed Of Scorn nel prossimo futuro, con l'avvicinarsi della terza prova, quella che dovrebbe poterci consegnare un gruppo ormai maturo, riusciranno a tirar fuori un disco che possa fare la differenza. Per adesso non ci resta che attendere e far loro un grosso in bocca al lupo.

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INTERNAL HARVEST - Ethereal Struggle


Informazioni
Gruppo: Internal Harvest
Titolo: Ethereal Struggle
Anno: 2013
Provenienza: Australia
Etichetta: Autoprodotto
Contatti: facebook.com/InternalHarvest
Autore: Mourning

Tracklist
1. Prelude
2. Abysmal Sea
3. Butterfly
4. Flaming Heart
5. What Could Have Been...
6. Swansong
7. Longing

DURATA: 33:52

Avevamo lasciato gli Internal Harvest con "Exit Signs", un lavoro sofferto e particolarmente oscuro; il trio australiano stava già lavorando al successore che è poi stato partorito sul finire del 2012 con il titolo di "Ethereal Struggle" e che ha preso una piega musicale decisamente diversa rispetto al passato. L'umore malinconico e in parte la vocalità lamentosa e struggente di Nick Magur (Adamus Exul e Amnis Nihili) sono componenti ancora presenti all'interno delle tracce, ciò che sembra essere mutato è invece l'atteggiamento complessivo: la natura più nera e claustrofobica è stata praticamente accantonata a favore di una visione che spalanca le porte a sonorità "post-" alle volte particolarmente agrodolci.

Dopo l'accoglienza malinconica riservataci dall'intro "Prelude", nella quale sono le note del piano a farla da padrone, è "Abysmal Sea" a mostrare i primi segni del cambio di rotta avvenuto: il suono delle chitarre è pulito e l'atmosfera estremamente quieta, seppur siano presenti forti connotazioni di colore grigio. Tocca quindi a "Butterfly" animare leggermente la situazione, sporcando un po' il riffing e accelerando improvvisamente la batteria sul finire, anche se l'impressione generale è che il gruppo scelga di rimanere placido e inquieto allo stesso tempo, orientato verso il rock, privilegiando l'emotività espressa dalle canzoni. La sensazione viene confermata in "Flaming Heart": non c'è traccia di black, a meno che non si voglia intendere come tale l'utilizzo del cantato in scream che si alterna alla voce pulita "sbilenca", piuttosto, il pezzo suona molto gothic / rock. Che dire poi di una "What Could Have Been..." nella quale la chitarra acustica si ritaglia gran parte dello spazio vitale, o di una "Swansong" che al contrario fa del carico apportato dalla distorsione, che finalmente appesantisce almeno in parte l'atmosfera, la propria marcia in più?

Si può scrivere in termini positivi di tutto questo, prendendo però atto che gli Internal Harvest sono adesso una versione estremamente alleggerita di ciò che erano in "Exit Signs". Un altro segnale evidente che punta in tale direzione ci viene fornito dalla stessa durata dei brani: non vi sono infatti tracce lunghe, si superano di poco i sei minuti nelle più dilatate "Abysmal Sea" e "Flaming Heart" (nulla al confronto di "Quagmire", episodio più breve del debutto che ne durava oltre nove).

Con l'avvento di "Longing" viene posta la parola fine a un "Ethereal Struggle" che porta con sé luci e ombre, si tratta di un altro brano ben orchestrato e decisamente intenso per ciò che concerne l'ambito emozionale e la cui esecuzione assume dapprima atteggiamenti dilatati, mutando poi e vivacizzandosi ritmicamente per concludersi con forma meditativa. La band sta ancora lavorando su una formula compositiva, alle nostre orecchie in continuo divenire, e a ciò ci si deve adattare; allo stesso modo del resto ci si deve abituare alla prestazione di Nick, varia e discretamente sfaccettata quando entra sul pezzo in forma pulita e in scream, ma che nel primo caso, per la modalità imperfetta e cantilenante, potrebbe non essere apprezzata.

Chi godrà dell'ascolto di un disco come "Ethereal Struggle"? Probabilmente tutti coloro che si sono con gli anni allontanati dalla classica area black metal, che hanno preferito guardare oltre una visione grezza e old school del genere, accettando di buon grado l'intromissione degli influssi alternativi confluiti in questo mondo. In questo caso più che in altri mi sembra fuorviante anche accostare termini come "black / gaze" e "shoegaze" a un disco che pare avere in sé un vissuto di matrice fortemente "rock". Chissà che non sia di richiamo per ascoltatori che, non gradendo l'estremo, preferiscono rifugiarsi in qualcosa di più leggero, ma non meno affascinante. Anche per loro la comprensione dell'album sarà legata al numero di volte che lo faranno girare nello stereo: intanto ci provino, se son rose fioriranno.

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DREARINESS


Informazioni
Gruppo: Dreariness
Autore: M1

Formazione
Tenebra - Voce
Gris - Chitarra, Basso, Tastiere
Torpor - Batteria


Il disco d'esordio dei Dreariness intitolato "My Mind Is Too Weak To Forget" è uno dei migliori che abbia ascoltato quest'anno, nell'attesa di alcuni grossi nomi che presto arriveranno fra le mie mani. Il loro shoegaze a tinte depressive spicca per il fortissimo coinvolgimento emotivo che riesce a ricreare e per la prova vocale peculiare di Tenebra. Per questa e molte altre ragioni ho pensato di proporre a voi lettori le parole di Gris.

Ciao Gris e benvenuto sulle nostra pagine. Dal momento che i Dreariness sono una band giovane, potresti raccontare ai nostri lettori com'è nata l'idea di costituirla e da chi è composta? Si tratta della vostra prima volta all'interno di un gruppo oppure avevate già esperienze precedenti?

Gris: I Dreariness sono un progetto recente, nascono nel febbraio del 2012 per volontà mia e di Torpor, fondamentalmente per una nostra esigenza, il periodo ci portava a esprimere cose profondamente diverse rispetto a quanto non eravamo soliti fare con gruppi come i Misere Nobis. Lo scopo è sempre quello di trovare una sorta di rifugio dove esprimere noi stessi con la massima trasparenza, privi delle maschere che per convenienza indossiamo quotidianamente. Nel caso dei Dreariness la colonna portante è la malinconia, radice dalla quale sfociano le restanti sfumature negative celate in noi stessi. Il progetto, nella formazione attuale, vede Tenebra alla voce, alla sua prima esperienza, ma con un potenziale vocale ed espressivo pressappoco illimitato, Torpor alla batteria, con il quale condivido anche altri progetti come appunto Misere Nobis, ed io, che mi occupo della composizione e della parte strumentale dei brani.


A febbraio 2012 avete messo in piede il gruppo e a giugno eravate già ai De Opera Studios di Rimini per registrare "My Mind Is Too Weak To Forget". Avevate già le idee chiare su come muovervi o avete approfittato anche del tempo trascorso negli studi per apportare nuovi spunti?

Ti premetto che circa un terzo del materiale fu scritto prima della fondazione della band. Mi ritrovai tra le mani del materiale fortemente in contrasto con quello proposto nei progetti che erano già avviati, e d'accordo con Torpor, il quale insieme a me aveva elaborato i brani in questione, decidemmo di dare alla luce un nuovo progetto. Di solito scriviamo di getto, quando ne sentiamo la necessità: per questo è capitato anche di avere dei periodi morti in fase compositiva tra febbraio e giugno. Sapevamo indubbiamente che sarebbe nato tutto automaticamente, se avessimo avuto bisogno di ulteriore tempo per comporre ce lo saremmo preso. Come già detto il progetto nasce per necessità di esprimerci e rifugiarci, tutto in maniera molto istintiva, quindi avere delle idee precise di come sarebbe stato l'album era quasi impossibile. Tutto è stato registrato tra le mura di casa proprio per questo, non volevamo limiti di tempo né volevamo aver fretta cercando di forzare la scrittura in maniera innaturale. In studio abbiamo potuto contare sull'aiuto di Mirco Bronzetti, fonico eccezionale, capace di valorizzare le idee della band come pochi altri.


Sulla vostra pagina Facebook definite la vostra proposta come Blackgaze / Depressive. Siete consapevoli che si tratta di due dei filoni del Black Metal più "controversi" e discussi, nei quali è più facile cadere in luoghi comuni o dove spesso si spaccia la mancanza di idee per totale fedeltà al genere? Come vi siete approcciati alla musica, se lo avete fatto, per evitare di cadere in queste trappole?

Ci siamo effettivamente resi conto nell'ultimo periodo di quanto sia "originale", o meglio, inusuale, la nostra proposta. È difficile realmente trovare etichette adatte ai Dreariness. Non siamo soliti prefissarci nulla solo in base al genere che si usa presentare, non importa infrangere alcuni limiti stilistici. Paradossalmente è corretto dire che non ci sono idee, è realmente tutto molto istintivo. Purtroppo come hai ben detto, soprattutto nell'ultimo periodo, le proposte in questo ambito sono molteplici, e sono inversamente proporzionali a quelle degne di nota. Molti sfruttano queste etichette solo per giustificare la pochezza dei vari progetti. Spero di non risultare arrogante, ma l'hai sottolineato tu stesso, è un dato di fatto.


Tenebra si è ispirata a qualcuno in particolare per proporre uno screaming così estremo e lacerante? Siete consci di come questo aspetto spaccherà decisamente in due le opinioni degli appassionati?

Tenebra ha un timbro vocale estremamente lacerante, capace di ricordare quello di figure di spicco in ambito depressive, qualcuno l'ha definita addirittura la versione femminile di Nattramn! Siamo consci che la sua voce rappresenti la linea di confine per gli ascoltatori, a testimoniarlo ci sono i vari riscontri che pendono da una parte o dall'altra in base alla loro vicinanza al filone depressive piuttosto che a quello shoegaze / post-black. Abbiamo unito lo stile musicale di quest'ultimo con timbri vocali più facilmente accostabili al primo. Tutto ciò non è stato fatto volontariamente però, piuttosto riteniamo perfetta l'interpretazione dei testi e delle tematiche da parte di Tenebra. Probabilmente se le tematiche trattate fossero state diverse, il risultato finale sarebbe cambiato. Avremo sicuramente prova di ciò già dai prossimi lavori!


Sovente si discute sull'utilizzo del proprio idioma in ambito metal. Quali sono i motivi che vi hanno portato invece a utilizzare l'inglese nei vostri testi? Perché inserire alcuni frammenti in italiano?

È stata fondamentalmente una questione di musicalità, per l'inglese. Per i frammenti in italiano invece abbiamo preferito la nostra lingua per via dell'espressione di alcune parti più forti o teatrali, poetiche, che avrebbero perso alcune sfumature, intensità, con una traduzione in un idioma più limitato quale è l'inglese.


A posteriori ci sono aspetti del disco che non vi soddisfano pienamente? A quale brano invece siete maggiormente legati?

A lavoro terminato, con le varie critiche, le varie osservazioni e soprattutto i numerosi ascolti, risulta semplice dire cosa e dove si sarebbe potuti intervenire per fare qualcosa di meglio, a partire da alcune sezioni strumentali, fino alla produzione, i suoni o parti vocali. In realtà sono felice del risultato finale così con le sue imperfezioni: è un lavoro trasparente che ripercorre un periodo della nostra vita trasposto in musica e per questo è necessario che il lavoro rimanga esattamente così come è stato prodotto, ne siamo fieri, al di là che possa piacere o meno.


Quali sono stati finora i riscontri ricevuti dai fan e dagli addetti ai lavori verso "My Mind Is Too Weak To Forget"?

Nel complesso abbiamo avuto dei riscontri molto incoraggianti, ci sono state delle ottime recensioni che hanno valorizzato il nostro lavoro, ma evidenziato anche le nostre lacune che sicuramente cercheremo di colmare nei prossimi lavori. I fan meriterebbero un discorso a parte, non ci saremmo mai aspettati un tale calore e un tale supporto. Spesso riceviamo messaggi di ringraziamenti per il nostro lavoro, come se riuscissimo in qualche modo a fare qualcosa di concreto per loro. Sapere di far rispecchiare qualcuno nella nostra musica è qualcosa di estremamente toccante.


Ci sono band o album particolari che voi tutti ritenete indispensabili per la nascita e lo sviluppo dei Dreariness?

Ce ne sono stati diversi. Se dovessimo citarne alcuni validi per tutti e tre però direi a occhi chiusi: Amesoeurs - "Amesoeur" ed Heretoir - ".Existenz.". Questi album sono stati sicuramente un forte stimolo per noi.


Qual è il vostro rapporto con i formati digitali (mp3) e le tecnologie di streaming (Spotity l'ultima appena giunta in Italia) per diffondere la musica? Siete legati alle versioni concrete degli album (cd, lp, mc) oppure le ritenete superate? Quali sono i pro e i contro di ciascun aspetto?

È un discorso un po' complesso. Personalmente ritengo una fortuna avere superato il periodo pre-Internet, dove si era costretti a comprare un prodotto musicale a scatola chiusa, senza la certezza di aver fatto o meno un buon acquisto. La musica dovrebbe essere un bene libero. Purtroppo però per avere tra le mani quei formati a noi tanto cari, come cd o lp, c'è sempre chi sostiene delle spese, sia per produrli che per distribuirli: in un genere come questo è da tenere in considerazione che le piccole etichette indipendenti la fanno da padrone, spesso con budget limitatissimi e soprattutto per pura passione. Sono realtà rilevanti e da sostenere, e ritengo che sia sempre importante per questo acquistare un lavoro che si ritiene valido per supportare chi ha impiegato molto lavoro nella realizzazione di quei formati. Amo il formato fisico, fondamentalmente per le sensazioni del tutto diverse che nascono nell'avere un cd o un lp tra le mani, ascoltare i brani potendo sfogliare un libretto. Inoltre molti dimenticano quanto faccia la differenza l'ascolto di un lp, a differenza degli altri formati è come avere la band che suona nella tua stanza! I formati digitali hanno invece il vantaggio di essere facilmente e velocemente reperibili, anche in quantità massicce. Per la diffusione della propria musica il formato digitale è ormai indispensabile, praticamente tutta la musica che ascoltiamo l'abbiamo conosciuta tramite social network o siti specializzati in streaming quali appunto SoundCloud, YouTube, BandCamp, o Last.fm.


Quali eventi attendono per il futuro i Dreariness? Concerti dal vivo, la scrittura di materiale o cos'altro?

Sicuramente la scrittura di nuovo materiale per il futuro, ma non nell'imminente. Ciò che invece è più prossimo è la preparazione di qualche data live, stiamo reclutando alcuni turnisti per poterci presentare sui palchi al più presto!


Per ora è tutto, spero di risentirvi presto.

Grazie per lo spazio che ci avete offerto e per quello che fate per la scena underground con non poca passione: massimo supporto!

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